La facciata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 28 ottobre a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione sul Vangelo domenicale, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 26 ottobre 2018:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

I Domenica dopo la dedicazione del Duomo di Milano
Mc 16, 14b

Siamo invitati, questa domenica, ad accogliere il dono di essere “mandati” dal Signore, il dono di essere missionari, perché questo mandato che Gesù qui dà ai dodici in realtà è parte costitutiva dell’essere discepolo di Gesù: Ogni discepolo di Gesù, nel momento in cui diventa discepolo, è anche “mandato” a portare agli altri quell’annuncio del Vangelo che ha ricevuto ed al quale ha aderito.
Nel raccontarci di coloro che sono i primi ai quali questo annuncio è stato affidato il Vangelo non ha nessuna riserva a mostrarci che coloro ai quali viene affidato questo mandato di annunciare addirittura in tutto il mondo questo Vangelo sono delle persone incredule e dure di cuore. Non deve sfuggirci proprio questo stacco fra il rimprovero di Gesù e il mandato che fa, subito dopo, alle persone stesse che aveva, prima, rimproverato ed alle quali dice: “Andate ed annunciate il Vangelo in tutto il mondo!”
Questo ci deve interrogare! Quelli che Gesù ha appena rimproverato li manda ad annunciare il suo Vangelo. Questo deve interrogarci proprio per farci comprendere che Gesù non cerca delle persone che vivono la fede senza dubbi, che testimoniano senza incertezze e senza incoerenze, che non sono peccatori: cerca semplicemente degli uomini, per renderli suoi discepoli e suoi testimoni, portando con sé il loro peccato, la loro fatica nel credere e la loro durezza di cuore: uomini che si lascino intenerire dall’annuncio del Vangelo affinché il loro cuore di pietra si trasformi in un cuore di carne. Gesù quindi cerca uomini non perfetti ma in cammino di conversione, con i cuori aperti al Vangelo, disponibili, innanzitutto loro, a lasciarsi trasformare interiormente dalla parola del Vangelo.
Gesù rimprovera i suoi discepoli per la loro incredulità! Ma a chi non avevano creduto? Non avevano creduto a quelle persone che lo avevano visto risorto, a persone precise, cioè Maria di Magdala, che per prima era andata al sepolcro, il mattino di Pasqua, ed era corsa subito dopo da loro a portargli l’annuncio ma non le avevano creduto; così come non avevano creduto ai discepoli di Emmaus, che la sera dello stesso giorno lo avevano incontrato lungo la via ed erano tornati a raccontarlo agli altri. Sono coloro a cui si crede ma nello stesso tempo si rimane increduli, perché si va anche a vedere, ci si rende conto che il sepolcro è vuoto – Pietro è arrivato addirittura per primo e subito dopo Giovanni e poi hanno cominciato a raccogliere l’annuncio di altri testimoni e quindi si sono interrogati sulle parole che Gesù aveva detto preannunciando la risurrezione – tuttavia rimane ancora un’incredulità non del tutto vinta. Come a dire che è proprio questa la nostra condizione di credenti, che devono sempre fare i conti con l’incredulità che c’è in loro. La fede è sempre una conquista che noi dobbiamo chiedere al Signore per grazia! La fede è sempre qualcosa che emerge dalla nostra incredulità! La fede è sempre qualcosa che il Signore ci dona nella nostra durezza di cuore! La fede non è mai un patrimonio acquisito una volta per sempre! La fede non è una scelta fatta una volta e sulla quale non ci si torna più, ma è sempre la vittoria sulla nostra incredulità!
La missione è il mondo: Ecco perché il cristianesimo non conosce più confini nazionali seppure si incarna in un popolo e nella sua storia, nelle sue tradizioni, nella sua cultura. Il cristianesimo non sposa mai soltanto una storia, soltanto un popolo, soltanto una cultura e non si identifica mai con esse, pur abitandole pienamente, con piena cittadinanza ma non si lascia mai racchiudere e tutte le volte che il cristianesimo ha tentato di creare un’unica cultura cristiana ha fatto un pessimo servizio al Vangelo: lo ha ridotto ad una cultura fra le tante!
Il cristianesimo, invece, si incarna in ogni cultura e la fermenta dal di dentro, come il lievito fermenta la pasta ma non si identifica con essa: non esiste un’unica cultura cristiana! Esiste una cultura che è fermentata, vivificata dai semi della parola del Vangelo. Tutte le volte che il cristianesimo sente una cultura proporsi come una cultura superiore alle altre allora reagisce dicendo: No! Tutte le volte che qualcuno vuole identificare il cristianesimo solo con un popolo o con l’appartenenza ad un popolo o ad un altro il cristianesimo dice: No! Il cristianesimo n on è disponibile a lasciarsi usare, a lasciarsi strumentalizzare, a lasciarsi ridurre come una realtà di parte contro qualcun altro. Il cristianesimo è allergico a questo! Il cristianesimo non può essere ridotto a questo altrimenti non è più cristianesimo! E tutte le volte che questo è stato fatto non è diventato più annuncio del Vangelo ma è diventato, a volte, anche una testimonianza contraria al Vangelo stesso: tutte le volte che i cristiani si sono prestati, e si prestano, a queste strumentalizzazioni.
Ecco perché la missione che Gesù affida è, anzitutto, quella di testimoniare una vita cristiana. Come dice Papa Francesco, riprendendo le parole di San Francesco d’Assisi: “Se Dio vuole, dopo averlo annunciato con la vita potrai annunciarlo anche con le parole”. Per questo le caratteristiche del missionario sono anzitutto questi segni che lo accompagnano, questa forza che Gesù dona al suo missionario, di poter vincere sul male che opprime l’uomo, rappresentato dai demòni, da questo veleno che rimanda al veleno del serpente, e da questa capacità di guarigione dalle infermità che opprimono l’uomo. Il cristianesimo è, allora, questa vicinanza all’umanità sofferente e oppressa dal male e dal dolore per portare quella forza, quella guarigione che viene dal Signore. Il cristianesimo si mostra capace di rispondere ai nostri bisogni più profondi, quelli che ci angustiano, quelli che ci schiacciano, quelli che più profondamente ci interrogano: Come scrollarci di dosso il peso del male che c’è dentro di noi, attorno a noi? Chi ce ne può liberare? Ecco, il Signore manda i suoi missionari per rispondere a questo bisogno! Il Signore li manda ed agisce insieme con loro! Il missionario ha il conforto di sentire che, in quello che egli fa il Signore agisce con lui. Certo questo accade quando il missionario è fedele al mandato ricevuto, quando non annuncia se stesso ma annuncia la parola, il Vangelo ed ha fiducia nella forza di questo Vangelo, del semplice Vangelo e non di un Vangelo appesantito da sovrastrutture; quando il missionario ha la libertà anche dal contesto culturale in cui vive, in cui è cresciuto, perfino dalle abitudini, dalle consuetudini, anche religiose, in cui è cresciuto, ha la libertà di dire che il Vangelo ci chiama a qualche cosa di nuovo, perché il Vangelo fa germogliare dentro di noi una parola che ci cambia anche interiormente, che ci apre strade nuove.
Il Vangelo di Gesù ha qualche cosa che non si presta ad essere posseduto una volta per tutte ma è sempre qualcosa che sta davanti a noi! Il vangelo va seminato nella sua purezza, nella sua semplicità, credendo che ha in sé una forza per crescere, per spezzare il terreno indurito.
Allora il missionario non deve essere lui a rompere i cuori induriti, perché rischia di spezzarli. Il missionario deve seminare anche sul terreno apparentemente non accogliente, con la fiducia che questo seme ha in sé la forza di crescere anche su un terreno che non è accogliente. Il missionario non si presenta come il perfetto che deve convincere l’incredulo ma si presenta come l’incredulo che condivide con gli altri, che ogni giorno lottano contro la propria incredulità insieme a lui, mostrando come la fede può ogni giorno vincere, per grazia di Dio, le nostre incredulità ed i nostri dubbi. Il missionario non è colui che è estraneo al male: non è il puro che si presenta come colui che vuole purificare questo mondo oppresso dal male ma è colui che sa che dovrà lottare con il male che c’è nel mondo, che c’è fuori di lui ma che c’è anche dentro di lui. Quindi si presenta come compagno di viaggio di altri uomini che, insieme a lui, lottano ogni giorno per scrollarsi di dosso il male e per far fruttificare il bene che Dio ha nesso nei nostri cuori. Allora così il Signore conferma la parola di Dio, la sua parola che il missionario annuncia e che viene confermata con i segni che bisogna essere capaci di cogliere, perché ogni segno può essere letto in diversi modi. Se però io ho questa disponibilità ad accogliere la parola del Signore allora mi risulteranno chiari anche i segni con i quali il Signore mi mostra che la sua Parola si sta realizzando in mezzo a noi, che questi segni della parola di Dio in mezzo a noi stanno germogliando, segni. E’ la parola stessa che ci rende capaci di vedere i segni attraverso i quali essa si compie e si realizza. Allora la parola di Dio ci rende capaci di vedere il regno di Dio in mezzo a noi, i “segni” del regno di Dio in mezzo a noi. Questa è la missione alla quale siamo chiamati, sempre nel segno di una fiducia nella potenza della parola di Dio. Chiediamo al Signore di poter attingere alla sua parola, alla parola del Vangelo nella sua piccolezza, nella sua umiltà ma credendo nella sua forza di vita che essa contiene.

Don Marco Casale
Casa San Carlo - Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

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