La faccaiata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 11 febbraio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 9 febbraio 2018:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

Ultima domenica dopo l’Epifania
Lc 18, 9 – 14

9In quel tempo, il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.

Tra tutte le parabole di Luca, che sono particolarmente sensibili al tema della misericordia, questa mi sembra la più sconvolgente: una parabola che invita ad un cambiamento radicale di prospettiva che è sintetizzato nella conclusione della parabola “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.”​
Tutta la parabola serve ad illustrare questo​ mistero – quello che anche da Maria, nel magnificat, viene espresso in modo sublime: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.” Questo è un vero e proprio ribaltamento di prospettiva che il Signore è venuto ad operare però dobbiamo essere anche noi capaci di ribaltare le nostre considerazioni e vedere le cose​ come le guarda Lui.
Proviamo ad entrare in questa parabola. Gesù la dice “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.” Ci sono due elementi che stanno insieme e che, in qualche modo, si sostengono a vicenda: da una parte la presunzione di sé e dall’altra il disprezzo dell’altro. Questi due atteggiamenti crescono insieme, sono inversamente proporzionali, anzi meglio, sono direttamente proporzionali: quanto più cresce uno tanto più cresce l’altro! Il peccato di questo fariseo è proprio quello di aver messo il proprio io al posto di Dio. La preghiera del fariseo, infatti, non è più un dialogo con Dio ma un monologo: più che un ringraziare Dio sembra quasi, il suo, un autocelebrarsi, un lodare se stesso. Anche la descrizione della preghiera del fariseo, molto dettagliata proprio per evidenziare questo suo autogiustificarsi, viene fatta dal fariseo “stando in piedi” ritto; di solito davanti a Dio ci si prostra, non si sta ritti in piedi. Inoltre l’uomo pregava tra sé, in un dialogo con se stesso – un monologo diremmo meglio - e non aperto​ all’altro, aperto a Dio. C’è un forte legame tra quest’atteggiamento di presunzione ed il disprezzo dell’altro: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini”. Ma che esagerato! Proprio tutti? Sembra che ci sia soltanto lui diverso da tutto gli altri! Il fariseo giustifica quest’atteggiamento portando, come prova, le cose buone che lui fa: “Digiuno due volte alla settimana – era il digiuno che si faceva il lunedì ed il giovedì, i giorni in cui si ricordava Mosè che era salito e sceso dal monte Sinai - e pago le decime di tutto quello che possiedo.” Questa pratica del digiuno descritta dal fariseo, inoltre, era molto superiore a quella che la legge prescriveva e che prevedeva il digiuno una sola volta all’anno. Il fariseo sembra dire: Io faccio molto più di quanto la legge chieda, così come pago le decime di tutto - mentre la Legge prescriveva che si pagasse la decima solo per alcune cose, non per tutto. Inoltre la decima era una tassa soprattutto imposta a chi commerciava, una sorta di percentuale sugli utili, attraverso cui una persona veniva messa in condizione di ricordarsi, oltre che di Dio, anche del povero. Invece questo fariseo della parabola non sembra un commerciante ma piuttosto un privato: anche qui metteva in pratica una cosa che di per sé non era tenuto ad osservare. Lui, quindi, sembra mettere davanti la generosità del suo osservare la legge di Dio dando, perfino, più di quanto la legge stessa prescriva, quasi che, allora, siano le sue opere a meritare il riconoscimento, la ricompensa da parte di Dio. Questo è un punto molto delicato. Noi potremmo subito dire, infatti, che la conclusione della parabola è davvero sconcertante, perché quest’uomo, di per sé, è irreprensibile ed inattaccabile mentre il pubblicano è, appunto, un peccatore “pubblico”, perché è uno che ha vinto l’appalto per essere esattore delle tasse per conto dei Romani ed era noto che questi esattori esercitassero questo compito facendo la cresta, cioè esigendo dalla gente più di quanto era dovuto ed il di più lo tenevano per sé. Erano, da questo punto di vista, dei ladri. Quindi non era nemmeno in discussione il fatto che il fariseo fosse escluso dalla comunione con Dio e non aveva, di per sé, nemmeno la possibilità di riparare a questo. Come avrebbe potuto fare, infatti, a restituire il maltolto a tutti quelli che aveva derubato in tutti gli anni della sua attività? Quindi era proprio “senza speranza” di salvezza. Allora comprendiamo perché la conclusione diventa sconcertante! Gesù che cosa fa? Beatifica il peccatore e condanna la persona irreprensibile. Questa parabola è davvero sconcertante! Dobbiamo capire in profondità il suo messaggio che ci invita ad andare oltre gli schemi con i quali noi guardiamo le cose. Dobbiamo allora chiedere soccorso – come ci ricorda quel versetto della Scrittura che dice che gli uomini guardano all’apparenza mentre Dio guarda al cuore – e stare attenti perché il rischio è quello di guardare solo all’esteriorità delle opere ma a cui non corrisponde un cuore, cosa c’è nel profondo. Siamo proprio invitati ad avere uno sguardo, direi, “tridimensionale” – pensate alla differenza che c’è tra il guardare un film su uno schermo piatto ed il guardarlo su uno schermo in 3D: uno vede anche la profondità! Ecco: lo sguardo di Gesù non è mai uno sguardo piatto ma è tridimensionale, coglie la profondità; non si ferma al primo livello ma va oltre. L’invito, allora, per noi tutti è quello di “guardare oltre” altrimenti questa parabola risulterebbe davvero sconcertante, incomprensibile: cosa c’è nel cuore di questo fariseo e che cosa c’è nel cuore di questo pubblicano, al di là ed oltre le loro opere, oltre ciò che si vede, oltre ciò che appare?
Nel fariseo c’è questo io gigante che diventa il suo idolo di fronte a cui lui è caduto in adorazione: il suo io diventa il suo dio! In molti modi questo può accadere: tutte le volte in cui noi non cerchiamo la salvezza di Dio nella sua misericordia e, anziché affidarci alla Sua grazia, che può trasformare interiormente il nostro cuore, noi pensiamo, invece, di affidarci di più alla nostra capacità di migliorarci, di togliere i nostri difetti, di non replicare i nostri peccati. Questo è, diciamo, l’inganno più ricorrente: ci dispiacciamo dei nostri peccati perché pensavamo di poter diventare capaci di non farli più. E’ facile cadere in questa tentazione! In questa parabola Gesù ci invita a fare una cosa diversa, a partire dal riconoscimento che noi peccatori siamo e peccatori rimaniamo e che il Signore ci ama da peccatori, non perché siamo stati capaci da soli, perché siamo diventati più bravi e capaci di non cadere più in quel peccato lì, perché altrimenti cadiamo nell’inganno del fariseo. Il Signore non ci chiede di promettere di non peccare più, di far promesse che non possiamo mantenere!
Quando noi diciamo che ci impegniamo a non peccare più, quando facciamo il proposito di non peccare, questo che cosa vuol dire? Se non vogliamo dire delle bugie non dobbiamo intenderlo nel senso che sappiamo che abbiamo la possibilità di non fare più peccati, perché questo non è possibile. Allora questo proponimento di non peccare più significa esprimere un vero dispiacere per quel peccato, un voler prenderne davvero le distanze e riconoscere con noi stessi che ci è dispiaciuto fare quel peccato! Questo è sempre il motivo per cui noi torniamo a peccare: perché, in fondo, un po’ il peccato ci è anche piaciuto e non solo dispiaciuto!
Il proposito, allora, è quello di dire: no, non voglio guardare a quell’aspetto del peccato che mi è piaciuto ma voglio guardare a quell’aspetto per cui mi è dispiaciuto, mi impegno a fare questo! Però, se sono onesto con me stesso, e guardo alla mia vita e al mio passato, mi accorgo che sempre io il peccato torno a farlo. Cosa vuol dire questo, che non mi sono impegnato abbastanza? No! Perché io peccatore sono e peccatore rimango. La mia salvezza non posso affidarla soltanto alle mie forze ma il mio impegno sarà soprattutto quello di non stancarmi ma di continuare ad affidarmi a Colui che soltanto può salvarmi e perdonare il mio peccato e per questo toglierlo; a Colui che soltanto può alimentare in me questo dispiacere del peccato, tenendomene lontano; a Colui che soltanto può darmi la forza di non scoraggiarmi di fronte al mio peccato ma di perseverare nella fedeltà a lui e quindi nel rifiuto della tentazione del peccato. E’ Lui stesso che non solo mi perdona ma mi dà anche la grazia di essere più forte e perseverante nel momento della tentazione: quindi mi dà la grazia di essere come questo pubblicano e di dire queste semplici ma fondamentali parole: “Abbi pietà di me, non sono altro che un peccatore, ma confido in Te!”
Questa sembra essere proprio la parola necessaria per l’uomo di oggi, che si trova impotente e disperato! Io, tutte le volte che sento nei commenti, nei modi di dire o di scrivere, di fronte a certe tragedie, di fronte a gesti disumani, la frase “non ho parole” mi viene da pensare che questa afasia, questa mancanza di parole, questo non saper più cosa dire contenga dentro proprio una mancanza della presenza di Dio! Di fronte all’esplosione del male se io non posso affidarmi a Colui che ha il potere di liberarci dal male, a quale speranza mi attacco? Se io non ho questa parola di Dio che mi parla di un Padre che ha il potere di perdonare, cioè di vincere il peccato dei propri figli; se io non posso dire queste parole quali altri parole mi rimangono? Quali parole sono più forti del dilagare del male a cui oggi assistiamo? Chi ha parole capaci di dare la speranza e di poter affrontare e vincere il male cui oggi dobbiamo tener testa?
Questa parabola, allora, oggi, ci dà davvero una parola di grande speranza: “Abbi pietà di noi Signore, non siamo nient’altro che peccatori!”
La potenza del tuo amore vinca il male che c’è in noi, vinca i propositi di male che sono nel cuore di tanti, vinca anche quella fragilità che porta me, che porta ciascuno di noi, ogni giorno, a contribuire ad alimentare il male che c’è in questo mondo: la Tua potenza di amore di Padre soltanto ci può salvare e liberare dal male!
Questa sia la nostra invocazione: Signore perdonaci e salvaci! Non siamo nient’altro che peccatori ma siamo figli tuoi e confidiamo in Te!


Don Marco Casale
Casa San Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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