La faccaiata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 3 dicembre a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 1 dicemrbe 2017:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

IV Domenica di Avvento
Mc 11,1-11

In quel tempo. Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».
Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.


L’ingresso di Gesù a Gerusalemme si colloca all’inizio della settimana santa; in realtà, avere una lettura da un'altra visuale, in questo tempo di Avvento, è importante, in quanto si parla dell’accoglienza di Gesù come un Messia mite, seduto su di un asinello. I richiami al Natale, infatti, sono molteplici perché si parla, per esempio, dell’asinello, un animale semplice che troviamo anche nel presepe, si parla di un messaggio di pace che l’asinello evoca. È un animale fatto per la fatica non per celebrare i trionfi, quindi ci riporta al messaggio di pace nel contesto del Natale. Quello che mi ha colpito rileggendo questo testo è che su questo puledro nessuno è ancora salito. Questo particolare ci dice che questa posizione scelta da Gesù - montare un puledro - non è una posizione molto ambita: è la posizione di chi è portatore di pace, di chi depone ambizione di potere, di dominio, di chi veste gli abiti del servizio, di chi rinuncia a ricercare per sé la ricchezza e sceglie per sé la povertà e che fa di tutto per deludere le aspettative di chi cerca un Messia militare, che liberi il popolo di Israele dalla dominazione dei Romani e invece accreditare l’immagine di un Messia che viene per prendere su di sé il nostro peccato, per portare il perdono, per disarmarci e non per armarci.

Questo posto che Gesù si è scelto in groppa a questa cavalcatura non è un posto ricercato, non c’è fuori una fila di persone che lo vogliono occupare perché i posti ambiti sono altri: sono i posti di prestigio, di potere che portano vantaggi per la propria persona, che portano vantaggi economici. Ecco perché, dunque, nessuno era ancora salito su quella cavalcatura! Quello che colpisce è che Gesù fa slegare questa cavalcatura perché possa esprimere tutto il suo potenziale, tutta la sua forza, tutta la sua energia - quasi che Gesù dicesse che questo potenziale c’era ma era legato, era vincolato, trattenuto - mentre Gesù invita a liberarlo, a farlo esprimere, in modo che le voci che parlano di pace non vengano, così, zittite e superate da chi invoca la guerra e chi parla di riconciliazione non sia, invece, superato dalle grida di chi inneggia alla contrapposizione. Ecco che Gesù dice: Slegate queste voci che parlano di pace, queste energie che costruiscono la pace e che vengono da Dio!

Quello che mi ha colpito, inoltre, è che così come preannunciato da Gesù le persone che assistono e che vedono i discepoli mentre slegano questa cavalcatura gliene chiedono conto. “Perché slegate il puledro?” Questi ricevono la risposta, secondo quanto aveva detto Gesù ai discepoli di dire: “Il Signore ne ha bisogno … ed ecco allora li lasciarono fare.” Lasciar fare al Signore lasciar fare a Lui! Quanto sembra difficile, oggi, lasciar fare al Signore! E’ qualcosa di inimmaginabile! Forse qualcuno potrebbe pensare anche di inutile e pericoloso, perché in fondo noi preferiamo, piuttosto che lasciar fare al Signore, dire al Signore cosa deve fare, avremmo tanti consigli da dare al Signore: fai così, Signore…fai questo… perché non sei ancora intervento…perché non hai ancora fatto…perché non hai ancora operato… e così noi abbiamo tanti consigli da dargli per insegnargli come fare, per indicargli tutte le sue mancanze, tutte le sue dimenticanze, tutte le sue inadeguatezze. Allora lasciar fare al Signore è cosa strana in verità! Lasciar fare a Lui, come vuole Lui, come a Lui piace, credendo che lasciar fare a Lui sia meglio piuttosto che chiedergli di fare quello che vogliamo noi. Merce rara, in verità, è questa fiducia in Dio ed ancor più raro è farsi una ragione che sia meglio così: Lasciar fare a Lui piuttosto che insegnare a Lui come fare! In questo “lasciar fare” c’è lo spazio perché Lui possa cominciare a fare davvero, possa portare il suo messaggio di pace, di salvezza per l’umanità, a modo suo e non a modo nostro. In questo “lasciar fare a Dio” c’è anche l’accettazione del fatto che i nostri tanti tentativi in cui non siamo riusciti a fare quello che volevamo, in cui non abbiamo ottenuto quella pace che volevamo, in cui non abbiamo ottenuto quel mondo migliore che tanto desideravamo c’è la capacità di riconoscere che, se noi non ci siamo riusciti, forse c’è Lui che può fare qualcosa di meglio! “Lasciar fare a Dio” vuol dire riconoscere che tanti nostri fallimenti, causati esclusivamente da noi, perché abbiamo scavalcato Dio, perché non abbiamo permesso che facesse Lui ed abbiamo, invece, incolpato Lui, sono avvenuti esclusivamente per colpa nostra: Abbiamo fatto noi e non c’è riuscito bene e abbiamo incolpato Lui!

“Lasciar fare al Signore”, a modo Suo: questo è ciò che fa la differenza, quello che ci fa entrare nel tempo di Avvento!

Egli viene e noi lo lasciamo fare!

Questo è, per certi aspetti, un atteggiamento un po’ passivo: è un lasciar che, però, rappresenta una “passività spirituale” e non una “passività inattiva”, la passività di chi non ha nulla da fare o non vuole fare. E’ la passività di chi riconosce che nel rapporto con il Signore è più Lui a fare, è più Lui ad agire per noi e non noi che facciamo qualcosa per Lui!

Quanto è difficile, per noi, pensare alla religione non tanto come a qualcosa che noi facciamo per Dio quanto, piuttosto, considerare quello che Dio fa per noi!

Quando Gesù sale su questa cavalcatura c’è chi vi getta sopra i propri mantelli come segno di partecipazione a questa sua scelta; altri gettano invece i propri mantelli sulla strada, al passaggio di Gesù, e qui si ricorda un episodio dell’Antico Testamento, all’ingresso trionfante del re Ieu nella città di Gerusalemme; anche in quel caso c’era chi gettava il proprio mantello sulla strada e la cavalcatura del Re calpestava questo mantello. Il mantello rappresenta la persona stessa che lo indossa e quindi è un atto di sottomissione al Re: costoro sono portatori di un’idea di Re molto umana, l’idea di un Re che comanda. Quindi già qui, nel modo in cui Gesù viene accolto, si comprende il perché del volta faccia della folla, del perché i cittadini di Gerusalemme passano dall’Osanna della domenica delle palme al “crocifiggilo”, così, nel giro di pochi giorni. Già qui vediamo che vi è questa ambiguità nell’accoglienza di Gesù: viene accolto festosamente ma viene anche frainteso, capito male e allora dopo molti cambieranno idea su di Lui perché deluderà le loro attese, perché non è quel re potente che chiama alle armi, che libera dal dominatore, che prende la testa delle truppe, che mostra i suoi muscoli e la sua forza per schiacciare i nemici. Allora “dall’Osanna” - che significa salvaci Signore – passa al “crocifiggilo”.

Quando Pilato dice cosa vogliono farne di questo re, essi manifestano la loro vera intenzionalità che è quella di non volerne fare nulla perché non serve a loro, non risponde alle loro aspettative! Ed ecco, allora, che Gesù entra nel tempio, guarda ogni cosa e se ne va. La casa di Dio è piena di cose, non di persone, e così Gesù esce; la casa di Dio è piena di cose da fare, la casa di Dio è piena di oggetti. Ma non è questa la casa di Dio! Gesù se ne esce e va a Betania dove c’è un’altra casa, un altro genere di casa, dove c’è la fraternità, dove c’è Marta, Maria e Lazzaro, i suoi amici, dove c’è il caldo del focolare, dove c’è la semplicità dell’accoglienza, dove c’è la gioia di trovarsi insieme a consumare il pasto, raccontandosi la giornata in amicizia, ridendo e scherzando, nel calore di una famiglia. Ecco: Gesù predilige questa casa che Dio sceglie. Allora ecco perché noi possiamo pensare alla Chiesa, alle nostre parrocchie come il luogo in cui possa sentirsi questo spirito di fraternità, in cui almeno l’anonimato venga superato, dove i rapporti non si limitino al buongiorno e buonasera, come spesso accade in tanti contesti, nei nostri condomini, etc. Ecco: la parrocchia non sia soltanto il luogo del buongiorno e buna sera ma sia il luogo della fraternità, il luogo in cui la persona non venga guardata con sospetto ma venga guardato con affetto, in cui una persona nuova che arriva venga accolta e trovi una famiglia in cui tutti ci si presenta, ci si conosce, ci si accoglie e dove, al termine della Messa, non si scappi via subito dopo la benedizione senza aspettare neanche il canto finale ma il luogo dove è piacevole incontrarsi e raccontarsi la settimana.

Gesù ha scelto come propria casa la fraternità, il calore dei rapporti umani costruiti su uno spirito di fratellanza per sentirci figli di un unico Padre e questo è il luogo dove Dio abita, il luogo dove Dio preferisce entrare. Questa domenica, allora, diventa la domenica in cui imparare da Lui ad essere anche noi come questa cavalcatura, come questo asinello; ecco, ci sentiamo così degli asinelli da soma! Infatti non è forse questo già il modo in cui spesso ci sentiamo? Ci alziamo al mattino, andiamo a lavorare, tiriamo il carretto, abbiamo tante cose da fare, tante persone a cui badare, abbiamo tante occupazioni che riempiono la nostra giornata finché, poi, arriviamo a sera e ci viene proprio da pensare che anche oggi siamo stati degli asinelli, abbiamo tirato il carretto da mattina a sera, abbiamo fatto tante cose che la giornata ci ha richiesto ma questo può essere vissuto o con un senso di stanchezza e di sconforto - quasi che si lavora tanto e poi non rimane in mano niente - oppure questa “spiritualità dell’asinello” può essere vissuto come il luogo in cui noi siamo chiamati a costruire un mondo più fraterno in cui Dio possa trovare casa, in cui Dio sia il benvenuto in cui Dio ci porta in dono la possibilità di vivere fino in fondo questa nostra fraternità che noi, da soli, non riusciamo a vivere.

Se Gesù è in mezzo a noi e noi lo lasciamo fare allora sì che possiamo costruire rapporti fraterni tra di noi!

Ecco, allora, questa “spiritualità dell’asinello” che diventa il modo di vivere questo tempo di Avvento e che diventa il modo di accogliere il Signore in mezzo a noi e che lo lasciamo fare.

Don Marco Casale
Casa San Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

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