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Foto Raffaele Coppola: L'interno della chiesa di Santa Maria Maddalena

Approfondimento del Vangelo di domenica 4 dicembre a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione proposto ogni venerdì sera alle ore 21.00, presso la chiesa di S. Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 2 dicembre 2016:

  

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

IV Domenica di Avvento
Mt 21, 1 – 9


1Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
5Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma.
6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:
«Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!
La pagina del Vangelo di oggi ci presenta un episodio importante della vita di Gesù: Il suo ingresso a Gerusalemme, preceduto dall’episodio dell’asina liberata dai discepoli per condurla al Maestro affinché, su di essa, potesse entrare trionfante in Gerusalemme. Abbiamo già trovato quest’episodio in Quaresima, perché è il suo contesto più conosciuto, quello della Domenica delle Palme, l’inizio della Settimana Santa, Però l’ascolto di questa pagina di Vangelo, nel tempo di Avvento, ci permette un altro tipo di lettura che riguarda la preparazione, non al “quando” Gesù viene ma a “come” Gesù viene. Ricordate che fin dalla I Domenica di Avvento siamo stati avvertiti di non preoccuparci del “quando” e questo Vangelo di oggi ci ribadisce che dobbiamo preoccuparci del “come”! Gesù viene come un Re mite, pacifico e il Vangelo lo dice, più con gesto simbolico che con le parole: “Viene seduto su un asina” che è una cavalcatura che è fatta per il servizio, a differenza del cavallo che è fatto per gli ingressi trionfali e per andare alla guerra. Quindi Gesù fa, della mitezza, un po’ la sua carta d’identità, ciò che lo qualifica, che lo caratterizza e che lo distingue dalle divinità, dagli idoli e da tutte le nostre aspettative e da tutte le nostre false attese su Dio. La mitezza di Gesù è un antidoto nei confronti di ogni trionfalismo e di ogni idea di Dio come di una divinità spaventosa, che fa paura, quell’aspetto tremendo del sentimento religioso che fa parte di tutte le religioni ed anche del pensiero ateo, che porta ad aver paura di Dio. La prima preoccupazione di Gesù sembra, quindi, proprio questa: che l’uomo non abbia paura del suo arrivo, del suo giudizio. La paura di Dio, non dobbiamo dimenticarlo, è all’origine della rottura del rapporto tra uomo e Dio. “Adamo, dove sei?” – dice Dio – e Adamo risponde: “Ho avuto paura e mi sono nascosto.” La paura di Dio è l’inizio di una frattura della relazione fra uomo e Dio generata dal peccato. Il primo frutto del peccato, infatti, è proprio la paura di Dio; Gesù, quindi, è venuto ad insegnarci a non avere paura di Dio per poter ritrovare la relazione con Dio, una relazione d’amore e di fiducia con Lui. Gesù ci fa ripercorrere al contrario il cammino di Adamo. Il cammino di Adamo, dal peccato alla paura di Dio, è il peccato che consiste nel vedere Dio come uno che non sta dicendo tutta la verità, uno che non è amico, uno che non vuole la tua pienezza di vita e di libertà, uno che ti limita. Da qui, dal peccato, la paura e quindi l’allontanamento da Dio e l’uscita dal giardino terrestre. Gesù, invece, ci vuol far fare il cammino inverso: non aver paura di Dio, questo Dio mite, per ritrovare un rapporto con un Dio amico, nostro alleato, che vuole solo la nostra vita e non la nostra morte; che vuole la nostra libertà e non la nostra schiavitù; che è venuto per mettersi al nostro servizio e non per farsi servire da noi o per servirsi di noi. Vedete: è un cammino contrario, opposto quello che Gesù ci presenta.
Gesù arriva a Gerusalemme attraverso Bètfage, che vuol dire “la casa del fico”. Il fico rappresenta il frutto: sono le nostre opere buone, di amore. Subito dopo questi versetti c’è proprio l’episodio del fico sterile: noi siamo sterili senza di Lui, non possiamo produrre frutti buoni senza di Lui.
“Verso il monte degli Ulivi”, perché da qui – dice il profeta – la gloria di Dio lascia Gerusalemme, quindi da qui, attraverso Gesù, la gloria di Dio torna nella città santa di Gerusalemme. Gesù manda i due discepoli – li manda a due a due – Matteo ama molto questa modalità di descrizione, queste dualità e continuamente le ripropone nel suo Vangelo. L’espressione “a due a due” vuole dire il superamento di ogni individualismo nella fede – quella fede ”fai da te”, che è sempre un po’ pericolosa, mortale – invece Matteo dice sempre “a due a due”; a due anche l’asino, vedete, che è insieme al puledro e non è da solo. C’è anche in questo caso una dualità con un accostamento – asina e puledro – che è, di per sé, un po’ bizzarro, in quanto è difficile spiegare come Gesù possa essere, allo stesso tempo, seduto su un asina e su un puledro. Matteo però non è preoccupato di spiegarci come fa Gesù ad essere seduto contemporaneamente su questi due animali ma è preoccupato di dirci che c’è un’asina ed il suo puledro, e che anche loro vanno a due a due! Anche il servizio, che quest’asina rappresenta, non lo si fa mai da solo ma sempre insieme!
Gesù manda due discepoli a prendere un‘asina legata e li invita a slegarla. Se l’asina rappresenta il servizio, che è l’amore operoso, le opere di amore, slegarla vuol dire liberare le potenzialità di amore, le nostre e quelle altrui. E’ come se Gesù ci dicesse: Tu hai in te una potenzialità di amore legata! Slegala! Il primo servizio nei confronti del fratello, dell’altro, è quello di contribuire, di aiutarlo ad esprimere la sua capacità di amare, liberare la sua capacità di amare. Questo è il primo modo di amare l’altro: educarlo all’amore, liberare le sue capacità di amare! Gesù è venuto per mettersi al nostro servizio così: per liberare in noi la nostra capacità di amare! La nostra capacità di amare è sempre, in qualche modo, legata: ha bisogno di essere slegata, perché noi, in fondo, osiamo poco nell’amore! Noi siamo sempre un po’ trattenuti, non ci sentiamo capaci di un amore più alto, più grande, più profondo, più generoso ed a volte guardiamo chi ne è capace con un po’ di nostalgia, dicendo: Ecco, la mia capacità di amare non è così alta, non è così grande, non è così generosa! Gesù è venuto, appunto, per dirci che noi abbiamo ancora una grande capacità di amare che attende di essere liberata, di essere slegata. Gesù ci invita ad essere più audaci – come dice Teresa di Lisieux – è la piccola, dolce eresia – che ci invita ad essere audaci, ad osare di più, a sciogliere la nostra capacità di amare, a non aver paura di sbagliare, a non aver paura della critica degli altri, a non aver paura che gli altri ci possano attribuire dei secondi fini, a non aver paura che gli altri ci riconducano ad una misura di amore più umana, più mondana e ci invitino a non esagerare – il mondo ci invita sempre a non esagerare nell’amore – e ci castra, dicendoci che se noi pensiamo di essere meglio degli altri siamo solo presuntuosi. Gesù, invece, non ci castra, ci libera, ci apre orizzonti di amore inaspettati: Una misura di amore inaspettato!
“Se qualcuno vi dirà qualcosa…” Vedete? C’è sempre qualcuno che ha qualcosa da dire. Quando facciamo qualcosa di buono c’è sempre chi ha da dire…Eh, sì! Ha fatto…però poteva far meglio! Eh, sì! Ha aiutato quella persona...però si è dimenticato di aiutare quell’altra! Eh, quello è capace solo lui di fare il bene! C’è sempre chi ha qualcosa da dire, chi ha da criticare: Si, va bene, però! Questo mortifica molto l’amore. “Se qualcuno ha qualcosa da dire, allora voi rispondete: Il Signore ne ha di bisogno!” Il Signore ha bisogno di venire in mezzo a noi come colui che serve. Il Signore ha bisogno di me per mostrare al mondo questo suo volto, di un Dio mite che è venuto per mettersi al nostro servizio.
“Li rimanderà indietro subito” Gesù prende per sé questa cavalcatura per esprimere, con questo gesto simbolico dell’ingresso a Gerusalemme, il suo volto di Re mite, ma li rimanderà indietro subito, come dire: Poi tocca a voi! Anche qui Matteo gioca sempre sulle coppie – a due a due, c’è Gesù ma c’è anche il discepolo. Quello che fa Gesù lo fa anche il discepolo, ma questo vale anche per noi e quello che noi ascoltiamo poi siamo chiamati a farlo anche noi. Vedete? E’ sempre lo stesso schema! Si compie così la profezia di Zaccaria, di un Dio mite, di un Dio che viene come un re mite. Gesù si presenta con la forza dirompente della sua mitezza! Su queste cavalcature i discepoli mettono i loro mantelli. Il mantello rappresenta la persona, serve da coperta serve da stuoia per dormire, da coperta per la notte e riparo per il freddo del giorno. Per questo la Scrittura dice: Quando tu prendi in pegno il mantello di tuo fratello glielo dovrai rendere la sera e non trattenerlo per te, perché significherebbe privarlo del necessario per la sua stessa sopravvivenza. Quindi il gesto dei discepoli di mettere il mantello sulle cavalcature vuol dire una partecipazione personale. Poi c’è questo ingresso col taglio dei rami che evoca la festa delle capanne. Poi cìè la folla che precede ed una folla che segue: è un po’ sempre così. C’è quella che precede e che vuole insegnare a Gesù la via; è quel Pietro a cui Gesù si rivolge con parole dure: “torna dietro a me, perché se tu cammini davanti a me diventi un satana”. La folla è sempre divisa in due, secondo quest’immagine che vediamo qui, appunto. La folla che segue, invece, è quella che va dietro Gesù, che segue il suo cammino verso il dono d’amore, verso la croce. La folla che precede è la folla del “crucifige!” Gesù non lo si precede ma lo si segue! E’ sempre molto imbarazzante quando c’è chi vuole insegnare come si mette in pratica il Vangelo, insegnare alla Chiesa come deve fare ad essere Chiesa. A volte si trovano espressioni imbarazzanti, perché si ascoltano dei consigli che vengono dati alla Chiesa sul “come” deve essere Chiesa che sono tutto il contrario del Vangelo, che sono del tutto singolari, parole che vengono da una mentalità mondana di chi vuole una chiesa a modello umano, di valori umani, in cui non c’è nulla di Dio e lo si fa con la convinzione che si stanno dando buoni consigli e verrebbe da dire – come Gesù – “Padre perdonali perché non sanno quello che dicono, perché non ti conoscono” Invitano la Chiesa ad essere forte al modo con cui il mondo vuole essere forte e rimproverano alla Chiesa di non essere forte al modo in cui il mondo è forte e così, senza saperlo, danno fiato esattamente proprio alla tentazione più radicale, più diabolica, di non essere più la Chiesa di Gesù ma di diventare una delle tante istituzioni umane che si impongono con i numeri, con la forza e non con la mitezza, con l’amore. E’ sempre una grande tentazione e noi dobbiamo riconoscerlo che ci costa, che ci costa fatica, perché dobbiamo proprio convertire il cuore, il pensiero, per poter credere che una chiesa mite è la chiesa di Gesù; per poter credere che una chiesa così abbia la possibilità di sopravvivere alla violenza di questo mondo. E’ difficile crederci! E’ difficile credere che la mitezza, sul modello della mitezza di Gesù, possa essere questa la forza capace di vincere il mondo: E’ difficile crederlo! E noi siamo continuamente tentati di non farlo più e di abbandonare questa mitezza e di imbracciare gli strumenti e le armi di questo mondo per difenderci e per imporci sugli altri; di usare le stesse modalità con cui gli uomini si difendono e si impongono gli uni gli altri, abbandonando la mitezza perché la mitezza è pericolosa, perché è debolezza, è una follia, perché è irresponsabile, perché ci rende troppo vulnerabili. La mitezza è incomprensibile! Per questo Gesù ha voluto porre un segno che non lascia dubi: Lui la mitezza non la può abbandonare, perché Lui è solo e tutto mitezza e dovrebbe rinnegare se stesso per essere qualcosa di diverso dall’uomo mite e non lo fa, e non intende farlo. Chi lo fa non gli cammina più dietro ma gli cammina davanti, perché vuole insegnare a Gesù come si salva il mondo.
La mitezza è un punto di non ritorno, è il segno definitivo della via per la quale Dio salva questo mondo violento: La mitezza, null’altro che la mitezza!
La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva gridava: Osanna al Figlio di Davide! Certo! Gesù è il Figlio di Davide! Ma come? Chi pensa che Gesù debba essere Figlio di Davide, al modo di un Re liberatore, al modo di un Re che scaccia l’oppressione dei Romani rimarrà deluso e lo abbandonerà e lo tradirà e lo ucciderà! Chi invece pensa che questo Re, Figlio di Davide, ma in un altro modo, con la mitezza, sia effettivamente Lui il Salvatore, allora lo ritroverà come il Signore, ma dovrà passare attraverso la purificazione della croce, che fa morire in noi tutte le aspettative di un Re forte. Gesù tutte queste aspettative idolatriche le ha crocifisse con sè sulla croce, le ha fatte morire con sé sulla croce, per essere restituito a noi come il Signore risorto che ha vinto la morte con l’amore! Ecco la strada di questo Messia! Ed allora non è più importante il “quando”, perché? Perché il “quando” è adesso!
Sappiamo che Gesù, a differenza di Giovanni il Battista, è venuto a dirci che il giudizio di Dio si, c’è, ma non adesso! Esso sarà dopo e quello sarà l’ultimo momento, la parola definitiva. Non è questo il momento del giudizio! Questo è il momento della visita del Re mite e dell’annuncio della misericordia di Dio e che il giudizio consisterà– lo sappiamo – nel fatto che non Dio ti condannerà ma che tu avrai accolto questo amore, sarai vissuto di questo amore o ti sarai ostinato a rifiutarlo: questo è il giudizio! Tu ce l’hai in mano il giudizio! E’ la tua scelta di fronte a Gesù, il Re mite e misericordioso. Tu sei arbitro del tuo destino! Il giudizio su di te è completamente nelle tue mani e nelle tue scelte. Allora non è più importante il “quando”, il sapere quando viene il regno - che è la domanda che i discepoli pongono a Gesù fino ad un attimo prima che Gesù salga in cielo; un attimo prima dell’Ascensione, infatti, gli apostoli domandano: E’ questo il momento in cui Tu instaurerai il tuo regno? Il “quando”, dice Gesù, è adesso, se tu accogli questo Re, Gesù, che viene seduto su un’asina, mite ed al servizio, ed anche tu lo segui vivendo il servizio di amore che rende presente oggi il regno di Dio in mezzo a noi!

Don Marco Casale

Chiesa di S. Maria Maddalena – Bizzozero

Trascrizione non rivista dall’autore 

 

  

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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