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Foto Raffaele Coppola: L'interno della chiesa di Santa Maria Maddalena

Approfondimento del Vangelo domenicale a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione proposto ogni venerdì sera alle ore 21.00, presso la chiesa di S. Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 21 ottobre 2016:

  

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI
I dopo la Dedicazione del Duomo di Milano​
​​Mt 18, 16 – 20


16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Questo testo, che è un po’ la conclusione del Vangelo di Matteo, ne è, allo stesso tempo, anche una sorta di riassunto, molto denso, di tutti i temi affrontati da Matteo nel suo Vangelo. Esso ci introduce bene nella I Domenica dopo la Dedicazione del Duomo che è la domenica missionaria e che, quindi, parla dell’invio degli undici, da parte di Gesù. La missione di Gesù si prolunga nei missionari che vanno, perché mandati, ma non solo: sono chiamati ad essere missionari come Lui lo è stato, cioè ad occuparsi di una missione che è la missione stessa del Figlio Gesù, non un’altra cosa. Proviamo ad entrare nel testo. I Discepoli sono undici; questo è un dato che l’Evangelista ripete più volte e quindi c’è un messaggio da cogliere: la comunità dei Discepoli è una comunità visibilmente segnata da una carenza. Manca, infatti, il dodicesimo, che è Giuda, che ha tradito, si è impiccato, si è gettato giù, si è sventrato - come riferiscono gli Atti degli Apostoli, ha posto fine tragicamente alla sua vita – e questo fattore non viene assolutamente nascosto, anzi, viene evidenziato, sottolineato, perché la comunità missionaria è sempre una comunità evidentemente, visibilmente carente, al cui interno c’è il peccato, il male, la defezione, l’inadeguatezza, il tradimento, il rinnegamento. Non è questa una condizione in attesa di essere superata, quasi a dire che la comunità è monca, zoppa però, se ci lavoriamo bene, avremo una comunità perfetta. No! La comunità degli undici ci dice che la comunità è sempre nel segno di questa “non perfezione”: una perfezione a cui tende – “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro”, che è la sintesi del discorso della montagna, secondo Matteo; la perfezione, naturalmente è la perfezione dell’amore, così come l’Evangelista Luca precisa ancora meglio quando dice: “Siate misericordiosi come il Padre è misericordioso” - Questa è la meta cui tendiamo: l’imitazione del Padre, con la sua grazia, con il suo aiuto, per essere sempre più ciò che già siamo, cioè immagine sua, figli suoi, ma questo esserlo perfettamente è sempre oltre noi. Noi siamo la comunità degli undici e, anziché affannarci a ricordarci l’un l’altro che siamo incompleti, imperfetti, in quanto questa è una cosa scontata, dovremmo invece interrogarci di più su qual è il mandato che il Signore consegna a questa comunità degli undici, che cosa il Signore ci sta dicendo, che cosa ci invita a fare, cosa ci invita ad essere, quale dono il Signore ci invita ad accogliere, quale strada il Signore ci sta mostrando, quali segni Egli mette sul nostro cammino: Queste sono le cose che ci interessano! Che siamo solo in undici, che siamo imperfetti è una banalità: passiamo oltre, anche se, in realtà, non è poi così tanto una banalità perché la comunità sa che deve essere salvata e questa consapevolezza ci deve sempre stare davanti!

Questi undici sono discepoli, cioè seguono l’unico maestro: Gesù! E’ un discepolato che è un seguire le vie del Maestro, l’esempio di vita del Maestro, la strada tracciata dal Maestro; evidentemente non è solo l’apprendimento di una dottrina, di un insegnamento. Essi vanno in Galilea. La Galilea rimane, indelebilmente, il luogo della “ferialità”, il luogo in cui Gesù è nato, cresciuto, ha lavorato, ha vissuto la quotidianità di Nazareth. La Galilea è sempre il luogo da cui ripartire: la quotidianità! Qui noi, dunque, abbiamo già una prima indicazione chiara della missione: Vivere la fede nella quotidianità, nella quotidianità delle nostre famiglie e delle nostre relazioni. La ferialità! Il cristianesimo ha sempre trovato questa come la modalità privilegiata per essere vissuto, per essere annunciato, testimoniato e creduto! Ecco perché la missione – il Concilio Vaticano II ce lo ha ricordato e forse adesso è sufficientemente entrato nella consapevolezza del popolo di Dio – riguarda tutti i cristiani. Il cristiano è missionario, cioè annunciatore della Parola del Vangelo che vive e testimonia, innanzitutto, con la vita e anche con la parola, perché anche altri credano ed abbiano la vita, nel nome del Signore Gesù e tutti, senza esclusione, lo siamo: siamo chiamati ad esserlo, a farlo ed a viverlo! Poi c’è dentro, in questa grande vocazione missionaria, anche la missione apostolica “ad gentes”: quella di colui che si decide e va, lontano, a portare il vangelo a chi ancora non lo conosce. Ma questa missione “ad gentes” è dentro alla missione che è propria di ogni discepolo di Gesù.

Se oggi la Chiesa ha questa possibilità di rigenerarsi, di essere di nuovo capace di annunciare il Vangelo, certamente questa possibilità passa dal fatto che, nelle nostre famiglie, nella nostra quotidianità, il Vangelo venga vissuto, venga proclamato, diventi stile di vita, valori condivisi, scelte concrete: Questa è la Galilea di Gesù, la Nazareth di Gesù ed anche la nostra Nazareth! Il Vangelo non potrà mai essere separato dalla Nazareth, dal nascondimento di Gesù. Nazareth, la Galilea non è solo la prefazione del Vangelo di Gesù che preannuncia i temi successivi, ma ne è parte integrante: il Vangelo comincia ad essere annunciato così, con un bambino che nasce in una mangiatoia, perché non c’era posto per lui, che si riscalda nella paglia, col fiato degli animali, nella povertà, nella semplicità e cresce vivendo con il lavoro delle sue mani. Questo è il Vangelo! E’ la quotidianità abitata da Dio!

“Quando lo videro – Gesù, il risorto – si prostrarono” con il gesto dell’adorazione riservato solo a Dio.

“Essi, però, dubitarono.” Alcuni dicono che propriamente non dubitarono del fatto che Egli fosse risorto; però il dubbio è forse riferito al fatto che non sanno se possono rivolgersi a Gesù allo stesso modo in cui si rivolgevano a Dio, cioè per il fatto che l’adorazione dell’unico Dio, adesso, passa attraverso l’adorazione di Gesù, e questo è un tema molto importante anche oggi. Io più ci penso, più cerco di riflettere e più mi convinco che noi troppo spesso adoriamo un Dio che non è il Signore Gesù, ma adoriamo un Dio fatto di alcune affermazioni su di lui, che cercano di interpretare il reale: Succede qualche cosa…Dio l’ha voluto! E si attribuiscono alla volontà di Dio un’infinità di cose, anche quelle più dure da digerire, per le quali ci chiediamo: come fa Dio a volerle!?! Ma come possiamo attribuire a Dio la sofferenza e la morte? Vuol dire che non riusciamo a sganciarci da un’immagine di Dio che non è Gesù; è un'altra cosa! Ma noi non possiamo annunciare un Dio così! Questa non è la missione! Dio, che è Gesù: questo devo annunciare! Guardo Gesù e posso mai pensare che Gesù voglia la morte di qualcuno, Lui che è il segno della vita in mezzo a noi!?! Non posso più pensarlo! Ogni adorazione a questo Dio, che non è il Dio di Gesù, si infrange di fronte all’adorazione di Gesù che è il volto di Dio in mezzo a noi. Non ce n’è un altro! I credenti in Lui non conoscono un altro Dio, non conoscono il Dio che “permette” - quest’immagine strana, molto strana di Dio! Succede qualcosa: il Signore lo ha permesso! Ma una cosa brutta, un dolore per qualcuno, come si fa a dire che il Signore lo ha permesso? Come si fa? Non è pensabile! Quando uno che ama, vede l’amato in difficoltà, e permette che gli accada qualcosa di brutto e pur potendo intervenire non lo fa, come si fa a dire che è uno che ama davvero?!? E’ un sadico! Punto e basta! Di un sadico intollerabile! E Dio sarebbe così, di un sadico intollerabile perfino a pensarlo? Un Dio che permette che la sua creatura amata, soffra e, pur potendolo evitare, lascia che continui a soffrire e non fa niente?!? Non è pensabile! La missione vuol dire annunciare il Dio di Gesù Cristo, il Dio della vita, che mai vuole la morte di nessuna sua creatura, un Dio che è venuto a salvarci e non a condannarci, che è venuto a farsi carico delle nostre sofferenze, non ad aggiungerne altre. “Essi però dubitarono” che il volto di Dio, l’unico, fosse il volto di Gesù Cristo, nostro fratello, Figlio di Dio fatto uomo per noi, per la nostra vita: si dubita di questo e ci si affida ad altre immagini di Dio!

“Gesù si avvicinò”. Ecco, continuamente, la missione è un “farsi vicini,” è il Dio vicino, il Dio con noi, “l’Emmanuele”. In Gesù Dio si è fatto vicino, ha colmato la distanza. Non è un Dio che noi abbiamo raggiunto salendo fino al cielo. E’ un Dio che, con la sua condiscendenza è disceso dal cielo, si è fatto così vicino da essere uno di noi.

“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Qual è il potere? Nel Vangelo di Matteo noi troviamo spesso questa espressione. Gesù insegna, Gesù guarisce e al termine del discorso della montagna la gente dice: Costui insegna con autorità! Non è come i nostri Scribi che spiegano la parola ma non insegnano con autorità. E’ la differenza che c’è tra chi “parla” della realtà e chi, invece, te la “mostra”, fra chi te la descrive e chi invece te la rappresenta dal vivo! Gesù dice una parola che “crea” e che fa ciò che dice! Non dice solo una parola che descrive o che spiega! Gli Scribi descrivono, spiegano; Gesù crea, opera con la sua parola!

Quando i Farisei gli chiedono: Dicci con quale autorità – autorità vuol dire potere, sono parole che indicano la stessa cosa – fai queste cose? E Gesù risponde con un'altra domanda: Il battesimo di Giovanni viene da Dio o dagli uomini? Essi rispondono: Non lo sappiamo! E Gesù risponde: Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose! L’autorità, il potere di Gesù è conosciuto solo da chi lo accoglie, altrimenti Gesù appare così, insignificante. Pensate a quanti considerano questa parola del Vangelo una parola “irrilevante” agli occhi del mondo, insignificante, senza potere, perché questo potere lo comprende solo chi la accoglie. Il potere di questo mondo lo considera insignificante e irrilevante!

Quando Gesù guarisce il paralitico, chiede: Che cosa è più facile, rimettere i peccati o dire a questo paralitico: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati, io dico a questo paralitico: Alzati e cammina! E’ il potere di una guarigione profonda, anzitutto dal male che c’è dentro di noi e da tutte le sue conseguenze, la liberazione dalla sofferenza, ma non solo come terapia efficace. Gesù, infatti, non cura il sintomo ma cura la causa, alla sua radice e quindi, anzitutto, offre all’uomo la liberazione dal peccato e dal male. Questo è il potere del Figlio dell’uomo: guarire il nostro cuore e liberarlo dal male! Allora il missionario chi è? E’ colui la cui presenza è una presenza liberante che, come il maestro, che lo ha liberato dal male, annuncia una liberazione! Vive da uomo libero. Dice un proverbio: “Pan secco, ma nella libertà!” Il cammino della libertà è sempre un cammino nel deserto e quindi si deve essere pronti a mangiare pane secco, ma non si vende mai la libertà per il pane fresco! Il cristiano è un uomo che è stato reso libero, libero dal male. Noi abbiamo paura a parlare della libertà perché abbiamo paura che venga fraintesa – io ho la libertà e faccio quello che voglio, ma questo è un modello culturale molto diffuso oggi, ma non è quella di cui noi parliamo. Non è la libertà del “fare quello che mi piace” ma è la libertà di chi è stato liberato dalla schiavitù del male: libero di amare, libero di donare, libero di fare il bene e di offrire agli altri questa libertà, libero dai poteri di questo mondo perché ha scoperto il potere di Gesù, libero dal bisogno di apparire, libero dal bisogno di essere approvato dagli altri! Libero di servire, di legarsi, ma per amore, e non per dovere! Libero! Libero di fare non ciò che mi piace ma ciò che è buono, ciò che è vero, ciò che è giusto, ma libero! Ecco il potere che ci dà Gesù!

“Andate, dunque…” come dire che la conclusione di tutte queste parole è: Andate! Perché la parola di Gesù, la missione ci manda, è quella di “andare”, quello che Papa Francesco chiama “la chiesa in uscita”, altrimenti noi staremmo sempre qui, a raccontarcela, a parlarci addosso. C’è anche un detto simpatico secondo cui, a volte, noi cristiani stiamo qui a cesellare, a “tirar giù le mutande alle formiche”. Parliamo di tante cose e poi, quando alziamo lo sguardo al mondo diciamo: Eh, sì, ma i nostri orizzonti sono altri!!! Come facciamo ad essere qui, ancora, a tirar giù le mutande a queste formiche? Ci perdiamo in tante piccinerie, perdiamo tanto tempo! Allora Gesù ci invita: Andate, andate! La missione vi manda. Io vi mando!

“Fate discepoli tutti i popoli.” Il discepolo aiuta gli altri ad essere discepoli, non discepoli nostri, cioè legati a noi, che fanno quello che gli diciamo noi e così noi siamo gratificati nel dirigere la vita degli altri. No! Il discepolo non fa questo! Il discepolo è gratificato ma solo se le persone sono aiutate da lui a percorrere la propria strada! Quando mi accorgo che una persona ha trovato la sua strada, la sua scelta, la sua vocazione, io magari sono contento per il piccolo contributo che ho dato, ma non perché gli ho detto quello che doveva fare bensì perché l’ho aiutato a trovare la sua strada, a fare la sua scelta. Anche questo è esercizio di libertà!

“Battezzandoli, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” Il battesimo rappresenta l’essere immersi nell’acqua – l’acqua è simbolo della morte – ma immersi nel mistero della Trinità, quindi è un morire per rinascere, un morire alle cose di questo mondo per rinascere alle cose di Dio.

“Insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato.” E’ la testimonianza, attraverso un’esposizione ordinata ed integra della parola di Gesù. Insegnare nel nome suo vuol dire rispettare la parola del Maestro e quindi annunciare anche quelle parole che sono scomode e che noi evitiamo proprio perché scomode. Quindi Gesù dice di osservare tutto! Non c’è cosa più triste che mettere in pratica il Vangelo in parte! Il Vangelo non accetta riduzioni e potature! La Parola del Vangelo tu non devi semplificarla e non devi decurtarla: devi viverla, devi tradurla ma senza mai decurtarla, perché il Vangelo deve essere sempre davanti a te e sopra di te. Non la potrai mai possedere quella parola perché è lei che possiede te e quella parola lì dovrà sempre apparire, almeno in alcune parti, scomoda, che non riesci a farla stare da nessuna parte, che non riesci ad addomesticare. Deve essere sempre qualche cosa che ti stimola, che ti pungola, che ti chiama a conversione! Qualche cosa che non sarà mai soltanto parola umana ma parola di Dio.

Ecco la promessa finale di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” E’ per questo che noi siamo nella pace, perché Lui è con noi! “Il Signore è con te” promette l’Angelo a Maria. Questa è la nostra pace: non siamo soli! Qui noi troviamo la nostra sicurezza. Il Signore è con noi, in mezzo a noi!

Questo sia la nostra certezza, che ci accompagna, ogni giorno, dentro al mandato di essere missionari, annunciatori nella quotidianità del suo Vangelo.


Don Marco Casale

Chiesa di S. Maria Maddalena – Varese

Trascrizione non rivista dall’autore

 

  

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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