Foto Mario Bianchi: La facciata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 2 febbraio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione sul Vangelo domenicale, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 31 gennaio 2020:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

Presentazione del Signore
Lc 2, 22 – 40

Continua la narrazione di episodi dell’infanzia di Gesù. Qui vediamo Maria e Giuseppe, fedeli osservanti della legge del popolo di Israele, della Torah, che portano il loro bambino primogenito per presentarlo ed offrirlo al Signore – un rito che un po’ rimanda al ricordo di ciò che ha fatto il Signore quando ha risparmiato i primogeniti in Egitto liberando il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto - Portare il bambino al Tempio vuol dire, quindi, offrirlo al Signore per riceverlo nuovamente da Lui, riscattato attraverso l’offerta di un animale che poteva essere un agnello oppure, nel caso di una famiglia povera, due tortore o due colombe. In questo gesto si realizza la consapevolezza che i figli non sono nostri, non appartengono ai genitori: Appartengono a Dio che li ha donati, appartengono a quella vita, a quella vocazione che vanno costruendo. Essi sono come delle frecce lanciate da un arco nel mondo, nella vita.
Il fatto che Maria e Giuseppe non offrono un agnello ma due tortore dice la loro condizione di povertà che l’evangelista Luca evidenzia, una povertà di mezzi materiali a cui, però, corrisponde una ricchezza di fede e di vita spirituale, come dire che questo spazio che rimane vuoto della presenza di cose materiali viene riempito dello Spirito Santo, dello Spirito di Dio, un po’ come avviene con Simeone, questo anziano che, in mezzo a questa moltitudine di genitori che portano i loro bambini al Tempio per offrirli al Signore – immaginateli provenienti da tutte le tribù del popolo di Israele, quindi centinaia di bambini con le loro famiglie che salivano al Tempio ogni giorno - in mezzo a questa immensa folla Simeone riconosce la presenza del Messia in questo bambino con questi due poveri genitori che non avevano nulla di appariscente. Ci vuole lo Spirito di profezia per vedere la presenza di Dio e riconoscerla nell’ordinarietà, in mezzo a tanti, in uno come tutti: Eppure lì c’è Dio! Simeone pronuncia questa bellissima preghiera: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace” la preghiera che la chiesa ci invita a pregare tutte le sere, l’ultima preghiera, la compieta, prima di chiudere gli occhi “perché i miei occhi han visto la tua salvezza". Il sonno, naturalmente, allude alla morte. Vi è, allora, un anziano che vede compiersi la promessa di Dio, che ha atteso fedelmente, ed ora sente che la sua vita è compiuta, perché la sua attesa è compiuta pienamente. Simeone ci insegna che accanto all’atteggiamento della ricerca di Dio c’è anche un altro atteggiamento, che è altrettanto importante, che è quello dell’attesa di Dio, saper attendere, con fiducia.
Simeone insieme ad Anna rappresentano quelli che sono chiamati “i poveri di Javhè” cioè coloro che, nonostante ormai da diversi secoli la profezia tacesse, sanno attendere fedelmente la venuta di Dio, sono perseveranti nell’attesa e nella preghiera. Oggi probabilmente li chiameremmo i “resilienti”, coloro che non vengono meno, che non si scoraggiano, che non perdono la speranza, che sanno resistere anche quando l’attesa si prolunga. Abbiamo bisogno di incontrare figure come quella di Simeone noi che siamo quelli del tutto e subito, noi che non sappiamo aspettare, noi che ci scoraggiamo quando non otteniamo quello che vogliamo, quando non vediamo subito i frutti del nostro impegno e gettiamo la spugna ed iniziamo a lamentarci, magari a lamentarci anche con Dio.
Simeone fa anche una profezia rivolta a Maria: Gesù è segno di contraddizione perché Egli contraddice le nostre incoerenze, le svela, le mette in luce; questo sarà motivo di una trafittura nell’anima di Maria, come anche il fianco di Gesù sarà trafitto, perché questo svelare ciò che c’è nel cuore rappresenta una trafittura dell’anima, perché è come far cadere un velo, mostrare le cose nella luce. A questo noi uomini resistiamo, perché in fondo non lo vogliamo: Preferiamo la penombra, il grigio, preferiamo le mezze misure, i compromessi e rifuggiamo la verità, rifuggiamo la luce.
C’è anche una profetessa, Anna, della tribù di Aser, che è la tribù più piccola di Israele – vedete come la povertà, la piccolezza, sono ritornelli ricorrenti. Questa donna aveva ottantaquattro anni – conosciamo il significato dei numeri 12 x 7 laddove il 12 rappresenta il popolo di Israele (12 tribù) e 7 la pienezza (il significato del numero 7 che ritroviamo molte volte nella Scrittura) – quindi questa donna è pienamente Ebrea, è colei che attende con fedeltà il Messia, la venuta del Signore, l’incontro con Lui e diventa evangelizzatrice “parlava del bambino” subito dopo averlo incontrato: L’incontro con il Signore “manda!” Né Simeone né Anna “rimangono” ma si sentono “mandati” per annunciare; così è dell’incontro con il Signore. Anna ci ricorda, insieme a Simeone, l’importanza della preghiera: Vegliare e pregare! Con fiducia. E questo ci ricorda che questa giornata è la giornata della vita consacrata, dei religiosi, di coloro che fanno della loro vita un segno dell’apertura del cuore al regno di Dio che viene, come ha fatto Anna, la cui vita, la cui giornata era tutta un rimanere aperta al regno di Dio che viene, alla visita di Dio, per farsi trovare preparata. Ecco il senso della vita religiosa che oggi celebriamo. C’è qualche cosa che anche noi dobbiamo cogliere in questo: Essere nella disposizione dell’attesa fiduciosa, essere nella disposizione dell’accogliere il regno di Dio: essere aperti! La parola “accoglienza” qui prende il suo significato più vero e più profondo. Possiamo, allora, immedesimarci nell’esperienza di Maria e di Giuseppe che, incontrando Simeone ed Anna, rimangono stupiti delle parole che si dicono del loro bambino, che non sono parole del tutto nuove – già l’angelo gliele aveva preannunciate – ma Maria e Giuseppe rimangono aperti allo stupore; lo saranno ancora più e più volte – pensiamo al ritrovamento di Gesù nel Tempio. Ecco: Lo stupore di fronte alla novità! E questa parola “stupore” è una parola che ci fa esaltare in quest’epoca di conformismo, in cui per essere accettati dagli altri occorre adeguarsi a certi riti, a certe formule, a certe parole, a certi modi di fare, di dire, di comportarsi e, in nome della libertà, ci si conforma. Lo stupore di Maria e di Giuseppe ci dice che non abbiamo a che fare con dei conformisti; neanche conformisti religiosi – quelli del “si è sempre fatto così” o di quelli che la parola del vangelo “so già cosa dice” e che di fronte alla parola del vangelo non si aprono, non si stupiscono, non si mettono in cammino perché già sanno.
Chiediamo la grazia dello stupore, di chi non finisce mai di sorprendersi e rimane aperto alla novità di Dio, alla novità che è rappresentata dall’incontro con l’altro e con l'Altro che non finisco mai di conoscere abbastanza.

Don Marco Casale
Casa San Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

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