Foto Mario Bianchi: La facciata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 7 luglio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione sul Vangelo domenicale, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica. 

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 5 luglio 2019:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

IV Domenica dopo Pentecoste
Mt 5, 21 – 24

«21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».

Nel Vangelo che abbiamo letto vediamo che Gesù ha un’autorevolezza che gli viene dal Padre, per il fatto di essere Figlio di Dio – Dio Lui stesso – autorevolezza che gli permette di insegnare senza citare gli autori, come era in uso presso gli scribi quando commentavano le Scritture, ma permettendosi di dire: “Io vi dico”. E’ una parola quindi, quella che ci dice Gesù, che è una rivelazione e viene proprio dal cuore di Dio. Il cuore di Dio ci dice: Non limitarti a dire “io non ho ammazzato nessuno” perché quando hai fatto questo non hai fatto ancora niente.
La spiegazione, infatti, che Gesù ci dà di questo comandamento - il quinto della tavola della Legge che troviamo in due versioni, nel libro dell’Esodo e nel Deuteronomio - è l’applicazione piena di questo comandamento, che non si limita solo alla parte negativa, cioè “non basta solo ciò che non hai fatto” ma sviluppa anche la parte positiva, cioè “vi mostro cosa c’è da fare” cioè: c’è da amare il fratello. L’amore per il fratello, infatti, è il pieno compimento di questo comandamento che trova nel non uccidere il suo limite estremo, il rispetto sempre della vita dell’altro che poi deve essere sviluppato attraverso scelte di amore fraterno. Ecco perché, allora, Gesù dice: “Udiste che fu detto – evidentemente si riferisce a Dio che lo ha detto, è un modo con cui l’ebreo non nomina Dio – ma io vi dico” vuol dire che Lui non cancella quanto fu detto e rivelato da Dio nell’antico testamento, che è la Sacra Scrittura del popolo ebraico, ma io vi dico qual è il significato vero di questa parola, al di là delle interpretazioni che di essa sono state date, interpretazioni che possono diventare anche fuorvianti, che possono portarci lontano dal cuore del comandamento. Gesù ci riporta al cuore del comandamento, a quello che Gesù intendeva dire quando ci ha donato questo comandamento. “Chiunque si adira con il proprio fratello non rispetta questo comandamento!” In questo chi di noi si sente estraneo? Chi si sente di poter dire di non aver mai fatto questo? L’ira fa riferimento non solo all’impulsività, a quello scatto, a quella perdita di pazienza di un momento, a quella esplosione di rabbia ma adirarsi vuol dire qualcosa di più: vuol dire venir meno ad un rispetto nei confronti del fratello; vuol dire fare qualcosa non per correggere il fratello ma per inchiodarlo ai suoi sbagli, giudicarlo. Questo accade tutte le volte che noi facciamo qualcosa non “per” il fratello ma facciamo qualcosa che è “contro” il fratello, per cui non stiamo perseguendo il riscatto, la correzione del fratello – pensiamo, per esempio, alla correzione fraterna – ma lo stiamo solo giudicando, inchiodandolo alla sua condizione, al suo peccato, al suo limite, al suo sbaglio, senza pietà.
“Sarà sottoposto al giudizio” dice Gesù continuando. Ci viene in mente un’altra parola: “Con il giudizio con cui voi giudicate sarete giudicati anche voi; con la misura con cui misurate sarete misurati anche voi” come dire che il trattamento che tu riservi al fratello Dio lo riserverà a te. Questa parola è impegnativa e ci stimola ad avere grande cura del modo con cui trattiamo il nostro fratello, perché è specchio del trattamento che Dio riserverà a noi. Ecco perché, allora, la misericordia è la misura del trattamento da riservare al fratello, perché la misericordia è la misura del trattamento che Dio riserva a noi.
Poi Gesù continua con un crescendo…a chi gli dice stupido…a chi gli dice pazzo. Al di là di queste parole che andrebbero contestualizzate – pazzo, per esempio, per noi ha un significato di tipo psicologico mentre per l’ebreo aveva più un significato di tipo religioso. Però, al di là del significato di queste parole, che non è poi così semplice, quello che noi notiamo è una gradualità nell’atteggiamento senza amore nei confronti del fratello e dall’altra parte un gradualità anche del giudizio che uno attira su di sé – vedete, infatti, prima sottoposto al sinedrio, che è un consesso umano e poi sottoposto al fuoco della geenna che rappresenta il giudizio di Dio; così come c’è una gradualità nella modalità di correggere il fratello – tuo fratello pecca: prima correggilo tu, altrimenti fai appello all’assemblea, altrimenti lo consegni al giudizio di Dio – allo stesso modo c’è una condanna che uno si attira da se stesso su di sé nel momento in cui non ama il fratello.
Vedete allora che l’amore per il fratello è una necessità stringente per chi si incammina sulla strada del Vangelo, per chi vuole mettere in pratica la parola del Signore. Ecco, allora, il limite della sacralità della vita dell’altro, del fratello, che non conosce eccezioni!
Per questo il cristiano non considera la vita dell’altro distinguendola tra vita di serie A e vita di serie B; per questo, allora, come cristiani non possiamo fare a meno di indignarci di fronte all’uccisione di cristiani innocenti nel mondo, mentre purtroppo assistiamo ad un quasi totale silenzio su questi temi; non possiamo fare a meno di indignarci di fronte al fenomeno del femminicidio, all’uccisione terribile di donne innocenti; non possiamo fare a meno di indignarci di fronte alla morte di tanti migranti annegati nel mar mediterraneo. Non possiamo fare a meno di guardare a questa come una vita sacra che tutti siamo chiamati a proteggere e a difendere: ogni vita è sacra per il cristiano, senza distinzione fra vite di serie A e vite di serie B. Non uccidere è un comandamento di portata universale che non si limita al fatto di non averlo fatto materialmente ma arriva anche a chiederti: Ma tu che cosa hai fatto per proteggere la vita del fratello? Dire: Ma io non ho ucciso nessuno, è solo l’inizio dell’applicazione di questo comandamento e da solo è assolutamente insufficiente. Può diventare, infatti, un alibi della propria indifferenza – io non ho ucciso il fratello ma mi sono disinteressato di lui, me ne sono fregato di lui, non me ne importa nulla, non faccio nulla per custodire, promuovere, difendere la vita del fratello. Allora il dire: Io ho messo in pratica il comandamento perché non ho ucciso, dobbiamo stare attenti che non diventi un paravento della nostra indifferenza, di chi del fratello non se ne cura. Per questo Gesù ci spiega bene che cosa significa questo comandamento, perché noi non ne facciamo un alibi per la nostra indifferenza!
C’è, poi, questa bellissima indicazione che la liturgia ambrosiana ha recepito e che ci fa fare tutte le domeniche, tutte le volte che partecipiamo alla messa “ se presenti la tua offerta all’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.” Infatti la liturgia dice: Prima di presentare i nostri doni all’altare, scambiamoci un gesto di pace. E’ un atto tutt’altro che formale! Il modo migliore sarebbe di scambiare il segno della pace non solo con il vicino ma andando a cercare proprio quella persona con la quale abbiamo qualche cosa che non va e con lei fare pace.
Gesù va oltre e dice: “Non il fratello con cui tu hai qualche cosa ma il fratello che ha qualche cosa contro di te”. Quindi, anche se non dipende da te il problema, tu devi essere uomo di pace, anche nel momento in cui tu sei la parte offesa, perché è facile essere uomini di pace quando l’altro non ti ha fatto niente – lo fanno tutti, anche i pagani, i non credenti. Il cristiano è colui che, anche quando qualcuno ha qualcosa contro di lui, non smette di promuovere e proporre la pace con tutti i propri mezzi. E se il fratello vorrà insistere nel suo proposito di non vivere la pace con te dovrà essere chiaro fino in fondo che lo vuole solo lui, perché per fare la pace, per riconciliarsi bisogna essere in due! L’esito finale non dipende solo da te: dipende anche dalla sua risposta. Ma per quello che sta a te tu devi sempre essere colui che cerca la strada per promuovere la pace, e non solo nelle condizioni più favorevoli, non solo quando l’altro non ha fatto nulla contro di te: di questo sono capaci di tutti! Andare oltre, allora, al senso di offesa, di risentimento, di vendetta, alla permalosità che un po’ tutti portiamo nel nostro cuore. Sono esperienze umane: chi di noi non le sperimenta tutte? Ma il cristiano si distingue, perché non si ferma a questi sentimenti umani ma dentro ed oltre queste reazioni, molto umane, diventa un promotore di pace a tutti i costi. Crede fermamente nella pace e cerca di costruirla con tutte le proprie forze, con l’aiuto che gli viene da Dio, anche nelle condizioni avverse, perché il suo cuore è abitato dalla pace, dalla pace di Dio. Vedete, allora, che grandiosa possibilità il Signore ci offre: Mettere in pratica questo comandamento arrivando a vivere la pienezza di un amore fraterno che diventa segno distintivo del cristiano. Che cosa, altrimenti, ci caratterizza e ci distingue? Non perché questo distinguerci sia il segno di una eccellenza ma perché questo distinguerci è segno della presenza di Dio, della presenza sua e quindi vivere questo comandamento dà gloria a Dio, non a noi stessi. Quando c’è un uomo di pace, un operatore di pace questo dà gloria a Dio prima ancora che a lui: questo ci interessa! Vedere un uomo che porta la pace apre il cuore degli uomini alla comprensione della presenza di Dio in mezzo a noi: questo ci interessa testimoniare!
Ecco perché, allora, non possiamo limitarci mai a dire. Ho messo in pratica questo comandamento perché non ho mai ammazzato nessuno! C’è ancora molta strada da fare!

Don Marco Casale
Casa San Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.


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