La facciata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 21 ottobre a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione sul Vangelo domenicale, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 19 ottobre 2018:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

Domenica della dedicazione del Duomo di Milano
Gv 10, 22 - 30

Festa della dedicazione della nostra cattedrale, del duomo di Milano, che da sempre cade la terza domenica di ottobre che è la data in cui, tutte le volte, la nostra cattedrale è stata riconsacrata. Per questa ricorrenza la liturgia ci propone questo brano che ha, in realtà, un piccolo legame con il tema della dedicazione perché è ambientato proprio nella festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme, una ricorrenza annuale molto cara agli Ebrei, la festa di Hannukkah, in cui si ricordava la festa che era stata fatta dopo che il re Antioco Epifane IV nel 167 a.C. aveva violato il tempio che, quindi, era stato nuovamente consacrato.
E’ singolare parlare della dedicazione del tempio come di un edificio quando, in realtà, Gesù ci dice che il tempio è lui e quindi l’attenzione si sposta subito sulla persona di Gesù. Noi come cristiani non ci soffermiamo troppo a celebrare un luogo fisico, per quanto sacro sia, ma Gesù stesso ci invita subito ad andare all’essenziale: Il luogo, ormai, dell’incontro con Dio, il Padre, è la persona di Gesù. Questo tema Gesù lo ha affrontato molte volte; pensate solo alle parole di Gesù alla samaritana: “ E’ venuto ormai il tempo in cui né in questo tempio, sul monte Garizim - sede del tempio dei samaritani - né in Gerusalemme adorerete il Padre, perché ormai il Padre lo si adorerà in spirito e verità.” Gesù risponde alle domande polemiche e tendenziose dei suoi avversari che fingono di essere nell’incertezza, che fingono di avere un animo sospeso nell’attesa di sapere se lui è davvero il Cristo ma che, in realtà, hanno già deciso, nel loro cuore, che lui non lo sia. Gesù, però, conosce bene la loro ipocrisia ed allora non si ferma alle formule: Se Gesù, con la samaritana, aveva parlato di sé stesso come del Messia, qui, invece, Gesù non lo fa ed alla domanda se lui fosse il Messia risponde con la frase “le mie opere …queste danno testimonianza di me” come a dire: Guardate le mie opere, quello che io faccio! Gesù non dice a loro che lui è il Messia perché non accetta questo essere ridotto a formule, a parole che poi si rivelano vuote di significato e non vuole essere ricondotto ad un certo tipo di messianismo: un messianismo più nazionalista, trionfalista, militarista, politicizzato. Gesù, invece, invita a spostare l’attenzione su altro: a guardare a ciò che lui opera perché le opere che lui compie sono le stesse opere che compie il Padre, Dio e che sono sempre opere che danno la vita all’uomo e non la morte, che danno la guarigione, il perdono; sono opere che vanno a cercare ciò che era perduto, opere di inclusione e non di esclusione, opere che vanno a cercare coloro che oggi papa Francesco chiamerebbe “gli scarti” della società ed anche della religione.
Queste sono le opere che testimoniano di lui! Chi fa queste cose compie le opere di Dio e quindi dalle opere Gesù chiede di partire, nell’ennesimo tentativo, a cui Gesù dimostra di non aver mai rinunciato, di vedere i loro cuori aprirsi ed accogliere la sua testimonianza. Colpisce questo modo con cui Gesù non chiude la porta neppure a chi, evidentemente, ha già chiuso la porta a lui; anche questa è opera di Dio che dimostra la misericordia di Dio, che tiene sempre aperta la porta del suo cuore anche all’uomo che gliel’ha chiusa in faccia.
Gesù poi spiega che questa loro incredulità deriva dal fatto che loro non sono pecore del gregge di cui lui è il pastore. Questa immagine è tutta centrata sul pastore, sulla qualità del pastore non delle pecore. E’ un immagine che via via è stata anche contestata da coloro che dicevano di non essere delle “pecore” in quanto portatori di una propria libertà, una propria “capacità di scelta” ma qui l’immagine non si focalizza sul fatto di essere pecora ma sulla qualità dell’essere pastore. Tutto il capitolo X del Vangelo di Giovanni si sofferma su questo. Il pastore è, anzitutto, colui che dà la vita per le pecore, non è un mercenario, non lo fa per mestiere, per lavoro ma lo fa per vocazione, per amore. Qui si parla di un pastore che, come direbbe papa Francesco, ha l’odore delle sue pecore, che cioè passa la sua giornata in mezzo alle sue pecore e non a lato, di fianco alle pecore ma mescolato con loro tanto da impregnarsi del loro odore. In questa prossimità, in questa vigilanza, in questa piena condivisione dei rischi di fronte al lupo che viene c’è il pastore che si mette in gioco in prima persona e guida le sue pecore aprendo il suo cuore ad esse. Le pecore hanno bisogno di conoscere il pastore: non è solo il pastore che conosce le pecore, ma anche le pecore conoscono il pastore e per questo lo seguono. Da una parte c’è il pastore che conosce le pecore ad una ad una, le chiama per nome – come è importante ricordarsi il nome delle persone, per farle sentire al centro della propria attenzione, per farle sentire amate, ricordare i particolari di un incontro, le ricorrenze, gli anniversari, custodire una confidenza, tutte quelle piccole cose che esprimono un amore vero – però non c’è solo il pastore che conosce le pecore ma c’è anche il fatto che anche le pecore conoscono il pastore, sanno che cosa c’è nel suo animo, quali sono le sue preoccupazioni, i suoi pensieri, le sue sofferenze, ma conoscono anche ciò che dà gioia al pastore. C’è, quindi, questa conoscenza reciproca profonda e per questo le pecore lo riconoscono come loro pastore.
Il dono che il pastore fa loro è, fondamentalmente, quello della vita eterna che il pastore possiede in sé stesso, che il Figlio possiede perché il Padre gliel’ha data, e che il pastore dona alle sue pecore. La vita è il primo dono di Dio: l’amore per la vita delle sue pecore è ciò che per lui conta più di qualsiasi altra cosa! Questo ci fa capire come ciascuno di noi ha bisogno di poter riconoscere il proprio pastore che è, anzitutto, il Signore Gesù. Noi, come chiesa, siamo chiamati anzitutto ad aiutare le persone a riconoscere in Gesù il loro pastore, anche quando i pastori nella chiesa fanno davvero i pastori lo fanno non per mettere al centro se stessi: sono fuorvianti quando fanno così. L’essere pastori serve proprio ad aiutare le persone a riconoscere il loro vero pastore, Gesù. Abbiamo bisogno di pastori, cioè di qualcuno di affidabile, come Gesù. Andando a benedire le case io, in questi giorni, ho visto proprio la difficoltà delle persone a fidarsi, specialmente di quelle che non mi conoscono perché da poco sono per loro il parroco, e a volte scendono proprio giù, al portone, per vedere chi sono. Dopo si persuadono e magari chiedono anche scusa di questa loro diffidenza. Io, però, li capisco, perché so che è difficile oggi fidarsi perché si fanno tanti incontri spiacevoli e che ci rendono diffidenti. Questo, però, evidenzia ancora di più l’importanza di poter avere qualcuno di cui potersi fidare, di un pastore di cui fidarsi; l’importanza, in generale, di poter incontrare persone “affidabili”, persone che quello che dicono poi lo fanno, che non sprecano parole, persone che sanno parlare con quello che fanno, con le loro opere – come ci ricorda oggi Gesù – e che si rendono affidabili, credibili. Quanto le parole oggi ci suggestionano e ci fanno vedere quello che non c’è! Per questo Gesù è così chiaro nel dire: Guarda le opere, perché le parole sono facilmente equivocabili; le parole facilmente traggono in inganno. Guarda, invece, le opere, i fatti! Gesù insiste su quelle, perché sa che a parole diciamo che non ci lasciamo suggestionare dalle parole e che noi guardiamo alla concretezza – a parole – ma poi, in realtà, ci lasciamo suggestionare da esse ed allora per questo Gesù insiste sulle opere! Ne abbiamo bisogno oggi! Abbiamo bisogno di incontrare qualcuno che non sia opportunista. Abbiamo bisogno di pastori che non siano opportunisti ma abbiamo bisogno, più in generale, di persone che non sia opportuniste, che non ci sorridano per opportunismo, che non ci facciano un favore per opportunismo: abbiamo bisogno di incontrare persone autentiche, che abbiano il coraggio di dirci le cose chiamandole per nome! Abbiamo bisogno di persone autentiche che sappiano metterci la faccia, che sappiano dire veramente quello che pensano e non quello che gli conviene dire secondo l’opportunità del momento, andando dietro, un po', all’aria che tira. Abbiamo bisogno di persone che ci mettono la faccia dicendo quello che pensano anche quando èp contro corrente, anche quando non corrisponde a dove tira il vento in quel momento.
Il Signore ci faccia dono di incontrare persone così, di avere nella chiesa dei pastori cosi!

Don Marco Casale
Casa San Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

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