La faccaiata di Casa San Carlo con la caratteristica meridiana

Approfondimento del Vangelo di domenica 13 maggio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione, proposto ogni venerdì sera alle ore 21 presso la Casa San Carlo di via Santa Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 11 maggio 2018:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

Ascensione del Signore
Lc 24, 36b – 53

Gli Atti degli Apostoli ci dicono che Gesù quaranta giorni dopo la sua >risurrezione salì al cielo. Così la liturgia ci fa celebrare l’Ascensione del Signore quaranta giorni dopo la Pasqua. Noi vogliamo oggi meditare questo mistero dell’Ascensione proprio per non perdere l’opportunità di celebrarlo, perché il mistero dell’Ascensione è parte del grande mistero della Pasqua: Passione, morte, risurrezione, ascensione al cielo e discesa dello Spirito. Tutti questi momenti vanno visti senza separarli l’uno dall’altro, perché sono parte dell’unico grande mistero della Pasqua di Gesù che ci ha salvato. E’ così vero questo che oggi il Vangelo ci parla del giorno della Pasqua proprio in cui Gesù risorge e proprio alla sera dello stesso giorno Gesù si manifesta dapprima ai discepoli di Emmaus, poi agli undici riuniti nel cenacolo e poi esce con loro, va verso Betania e sale al cielo: l’Ascensione viene raccontata il giorno stesso della Pasqua. Quindi quello che conta non è l’esatta cronologia; Luca stesso, al termine del suo Vangelo, pone l’Ascensione nel giorno di Pasqua mentre nel prosieguo della sua opera, gli Atti degli Apostoli, la mette quaranta giorni dopo. Bisogna, quindi, vedere qual è l’aspetto di questo dono, di questo momento di grazia che è l’Ascensione di Gesù al cielo, che Luca vuole evidenziare: qui vuole evidenziare la profonda unità di tutti questi momenti dell’unico mistero pasquale. Gesù saleal cielo ma non ci lascia, non ci abbandona. Giovanni dirà, al cap. 16, nei discorsi di Gesù nell’ultima cena: “io non vi lascerò orfani ma ritornerò”. Gesù, quindi, va ma per tornare, va ma senza abbandonarci, torna al Padre ma per rimanere ancora in mezzo a noi ma in un’altra forma, che non è più quella della carne umana di cui lui si è rivestito nell’incarnazione ma è nella forma dello Spirito del risorto che ci viene donato nella Pentecoste.
Anche della Pentecoste – che in sé vuol dire cinquanta giorni dopo la Pasqua – in realtà ci viene raccontato che già la sera stessa di Pasqua Gesù alitò su di loro, apparendo ai discepoli e dicendo: “Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi.” Vedete che anche la Pentecoste viene collocata il giorno stesso della Pasqua per dire, ancora una volta, la profonda unità di questi misteri. Nell’Ascensione noi vediamo che è Gesù risorto che entra nella gloria del Padre, perché ha compiuto la missione che il Padre gli ha affidato. Ma anche in questo momento Gesù deve sostenere la fede dei discepoli: sono pieni di paura e credono di vedere un fantasma. Vi ricordate quel giorno sul lago: anche lì credono di vedere un fantasma, cioè non credono ai loro occhi, non credono che sia lui, non lo riconoscono! Hanno dubbi! Vediamo il coraggio del racconto degli Evangelisti che ci narrano di una comunità di discepoli dubbiosi. Il racconto dei Vangeli non ha il tono trionfalistico, non racconta di un cammino di fede come di una sorta di marcia trionfale, no! Il Vangelo non ha paura di raccontarci i dubbi dei discepoli, dubbi che grazie alle parole di Gesù ed ai segni che Lui offre – mostrò loro le mani ed i piedi, segni della crocefissione sul suo corpo – ancora una volta mostrò loro la profonda unità del mistero pasquale: passione, morte e risurrezione. Il Gesù che muore è quel Gesù risorto e quindi bisogna tenere insieme tutti questi momenti: La sua sofferenza, la sua morte e la sua gloria. E’ proprio il Cristo che patisce che il Padre risorge, quel Cristo sofferente per amore che prende su di sé il peccato dell’uomo e che il Padre, risorgendolo dai morti, attraverso la sua risurrezione dai morti ci dona il perdono dei peccati nella sua misericordia. Allora così noi possiamo vedere in che modo Dio ci ha salvato attraverso Gesù!
Gesù, allora, mostra loro quest’altro segno ed apre il loro cuore alla fede; ma la fede è sempre, di nuovo, un incontro con Gesù risorto che fa risorgere dal dubbio la fede. La fede non è mai una conquista raggiunta una volta per sempre ma è sempre frutto dell’incontro col Signore risorto, che ci guarisce dalla nostra incredulità, ci fa nascere come creature nuove, apre i nostri occhi attraverso la Parola, scalda i nostri cuori e fa, di noi, da increduli, credenti! Anche chi esercita autorità nella Chiesa, come è stato per i primi Apostoli, è chiamato a testimoniare non una fede senza dubbi ma una fede ricevuta in dono da Cristo risorto che cura lui stesso ed ogni discepolo dal dubbio, rendendoci credenti. Così, vedete, l’autorità non diventa esercizio del potere da parte di chi queste esperienze, come il dubbio, non le conosce ma diventa l’esercizio di un servizio da parte di chi l’esperienza del dubbio ben la conosce ed è stato guarito dal Signore e dalla sua misericordia, ed allora può essere testimone credibile, anche per gli altri, che la fede guarisce le nostre infermità, che lo Spirito del Cristo risorto ci risolleva dalle nostre infermità, ci guarisce dal nostro peccato, ci conferma nei nostri dubbi. Ecco perché Gesù dice: “Di questo voi siete testimoni”, del perdono dei peccati – tu, Pietro, cui ho perdonato i peccati e che mi hai rinnegato tre volte; voi tutti che mi avete abbandonato; voi che siete peccatori perdonati testimoniate a tutti l’essere peccatori perdonati, perché tutti, nella vostra testimonianza, riconoscano la possibilità di vivere, a loro volta, l’esperienza di essere peccatori perdonati. Non testimoniate di essere dei perfetti e senza peccato, che non lo siete, ma peccatori perdonati!
Gesù promette di essere rivestiti di potenza dall’alto col dono dello Spirito e questo si realizza nella città di Gerusalemme che, nel racconto di Luca, è la città da cui tutto parte - nell’annuncio a Zaccaria nel Tempio, verso cui Gesù si incammina – Gesù si diresse verso Gerusalemme (come sentiamo spesso ripetere), e da cui tutto riparte – la missione della Chiesa nel mondo per tutti i popoli, per essere benedizione! Gesù li benedisse: qui si porta a compimento la benedizione di Dio perché noi possiamo essere, a nostra volta, benedizione per altri. Che la nostra vita sia benedetta e sia una benedizione. Gli esegeti ci dicono che quella benedizione che Zaccaria, all’inizio del Vangelo, quando aveva ricevuto l’annuncio dell’Angelo e non aveva creduto, avrebbe dovuto pronunciare, poiché diventa muto, è una benedizione che il popolo attendeva dal Sommo sacerdote del Tempio, ma che è rimasta sospesa, proprio perché Zaccaria non l’ha potuta pronunciare. Qui, finalmente, si porta a compimento la benedizione per il popolo, perché noi, benedetti, benediciamo! Allora la nostra testimonianza diventa il poter compiere le opere che Gesù compie e poter dire la parola che Gesù ci ha detto: testimoniare il Vangelo, viverlo prima ancora che annunciarlo. Poterlo vivere è per tutti, annunciarlo è grazia per colui al quale il signore affida il compito dell’annuncio, ma tutti possono annunciare il vangelo prima che con le parole, con la propria vita, vivendo una vita ad immagine ed imitazione di quella di Gesù, nella prossimità al fratello più debole e più povero; nell’aiuto e nel sostegno all’ammalato, all’affamato, al carcerato – le opere di misericordia – nell’annuncio della misericordia di Dio che perdona e non condanna l’uomo!
Oggi noi sentiamo di dover di nuovo annunciare la misericordia di Dio a questa nostra generazione che vede ancora troppo, in Dio, un padrone più che un padre! C’è grande bisogno di far sentire che Dio è Padre e che noi siamo figli suoi e che lo Spirito del Risorto è lo Spirito dei figli di Dio perché nello Spirito del risorto noi veniamo battezzati. IL battesimo, allora, non è un mettere una bandierina per dire che siamo in tanti, ma diventa la grazia dello Spirito del Risorto che genera nuovi figli, che si mostra come il Padre di tutti; è la gioia di vedere i figli di Dio, che riconoscono con gioia in Dio un Padre e lo lodano insieme con grande gioia, come fecero i primi discepoli. Ecco il frutto dell’accoglienza dello Spirito ed ecco la prima testimonianza: La gioia. Questo è il segno distintivo: una gioia che è profonda, conosce la sofferenza e che non è un rimuovere il dolore e la morte. E’ la gioia di avere il Signore che ci ha donato la salvezza trasformando le sofferenze, che il Figlio ha preso su di sé, nel generare una vita nuova che è una vita eterna; nel perdono dei peccati e nella misericordia per tutti gli uomini che sono suoi figli. Questa gioia, allora, entra nel cuore ed è profonda e non ci viene strappata dalle prove che la vita ci dà nel passare dei giorni, non ci viene portata via, perché ha messo radici profonde ed è una gioia che non indulge mai nella lamentela, non ama raccontare quello che non va, che non funziona, che non piace; non ama indugiare in questo racconto ma testimonia la gioia che il Signore ci dona e testimonia il nostro incontro col Signore Risorto e la nostra accoglienza del Suo Spirito. E’ quella gioia che noi possiamo chiamare “l’ottimismo cristiano” che non è l’ottimismo leggero, non è l’ottimismo superficiale ma è quell’ottimismo di chi ha incontrato il mistero della Pasqua: passione, morte e risurrezione di Gesù e rivede questo mistero nella vita propria ed in quella dei fratelli e che crede che il Signore Risorto sempre ci fa risorgere dai sepolcri delle nostre paure, dei nostri dubbi, della nostra incredulità e della nostra lamentosità e fa di noi figli ricolmi della Sua gioia.


Don Marco Casale
Casa san Carlo – Bizzozero
Trascrizione non rivista dall’autore

 

Leggi anche: La Parola in mezzo a noi 6 maggio 2018