Foto Raffaele Coppola: L'interno della chiesa di Santa Maria Maddalena

Approfondimento del Vangelo di domenica 26 febbraio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione proposto ogni venerdì sera alle ore 21.00, presso la chiesa di S. Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

 

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 24 febbraio 2017:

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

Ultima Domenica dopo l’Epifania​
​ Lc 15, 11 - 32

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa,24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”.28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”»


Questa è l’ultima domenica prima del tempo della Quaresima ed il Vangelo di oggi ci mostra il “Padre misericordioso” così ci aiuta già ad entrare nello spirito della Quaresima. Questi due figli, entrambi, presentati nella parabola, non comprendono il loro padre e si allontanano da lui; invece Dio si mostra come un padre che insiste nell’andare a cercare questi figli perché tornino a casa. Questo padre mostra di avere la perseveranza dell’amore, che sa aspettare con pazienza e che sempre attende il ritorno dei figli. Questa parabola, che prima veniva chiamata la parabola del “figliol prodigo”, oggi, invece, viene chiamata “del padre misericordioso” perché protagonista non è il figlio prodigo di beni e di denaro, che se n’è andato, ma il vero protagonista è il padre, che è prodigo di amore.
I protagonisti della parabola sono tre; di per sé manca anche il quarto, la madre – Rembrandt, infatti, quando nel 1600 ha rappresentato, in un suo celebre dipinto, l’abbraccio del padre a questo figlio, lo ha rappresentato così, con la mano destra femminile di una donna e con la mano sinistra maschile, di un uomo, di un padre: aveva capito, questo pittore, che il padre della parabola, in realtà, ha in se un amore materno ed un amore paterno. Questo padre fa, per i suoi due figli, un po’ da padre e un po’ da madre, come fa il Signore con noi.
Il primo figlio chiede l’eredità al padre. Potremmo chiederci anche noi come risponderemmo se un figlio ci chiedesse l’eredità. Chiedere l’eredità è un po’ come volerlo far morire prima del tempo, quindi è il segno che questo figlio non accetta questo padre, non vede in lui un padre, se ne vuole sbarazzare. Invece ci sorprende molto vedere che questo padre, che è Dio, divide le sue sostanze e dà al figlio la sua parte e lo lascia andare. Qui vediamo l’amore di Dio che si esprime in questo grande rispetto della libertà del figlio, non perché il padre sia d’accordo, o gli faccia piacere o perché lo incoraggi ad andarsene, ma perché il padre rispetta la libertà del figlio. Così fa sempre Dio con ciascuno dei suoi figli, con noi: perché ci sia amore ci deve essere libertà!
Questo padre rimane in attesa del figlio. Sempre Rembrandt rappresenta il padre con gli occhi scavati dalle lacrime: le lacrime di un padre che attende questo figlio e tutti i giorni sale sul punto più alto della casa e scruta l’orizzonte aspettando che ritorni. Anche queste lacrime, vedete, sono più femminili che maschili, come le lacrime di Monica, la madre di S. Agostino, le lacrime di una madre che vede un figlio fare qualcosa che non le piace ed accompagna questa sua sofferenza con lacrime che sono feconde di una nuova vita, di un cambiamento. Sono lacrime di dolore ma non sono inutili: non piange per niente ma piange lacrime che sono seme di una vita nuova. Questo figlio, dopo aver sperperato tutto con gli amici e con le prostitute, ritorna. Questo figlio che ritorna rappresenta il peccatore che torna a Dio per chiedere perdono. Sentite un po’ come si studia bene la formuletta: “Ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio!” E’ un po’ come quando ci prepariamo alla confessione e pensiamo alle cose da dire e non ci vengono mai le parole giuste. Questo figlio ci fa vedere tutta la fatica dell’andare a chiedere perdono: è una grande fatica, tant’è vero che spesso non la si fa. Oggi il sacramento della confessione patisce molto di questo, nonostante abbiamo vissuto un bellissimo anno del giubileo della misericordia. Noi preti ci siamo un po’ confrontati fra di noi, sentendo anche tanti confessori di Sacro monte e dei Cappuccini, chiedendo loro se avessero notato, in questo anno appena trascorso, un aumento delle confessioni e ci hanno risposto che non c’è stato un significativo aumento. Noi abbiamo notato che si fa proprio una grande fatica ad accostarsi alla confessione, compresi i preti: tutti facciamo fatica! E allora ce lo confessiamo, ce lo diciamo. E’ bello chiedere il perdono e ricevere il perdono, ma si fa fatica; ma questa fatica va affrontata, va superata una volta per tutte! Dobbiamo vincere questa fatica, questa pigrizia, perché è troppo importante il perdono per poter rinunciare! Questo figlio è uno che ce l’ha fatta a superare questa fatica ed è andato a confessare il suo peccato ed il padre lo ha sorpreso perché non lo ha neanche lasciato parlare: lo ha abbracciato, lo ha rivestito a nuovo ed ha iniziato una festa: la festa del perdono. Questo figlio non dice più nulla – sarà rimasto così sorpreso da questa bontà inaspettata del padre! Ma mentre questo figlio gioisce intimamente di questa bontà del padre l’altro figlio si rode di gelosia. Nella famiglia dei figli di Dio succede un po’ quello che succede in tutte le famiglie! Quado uno gioisce l’altro, anziché gioire con lui, si ingelosisce. L’altro figlio neppure entra nella casa: deve uscire il padre per andargli incontro - “Tuo fratello era come morto ed ora è vivo; era perduto ed è stato ritrovato! Perché non devi fare festa con noi? No - dice il figlio - perché io ti ho sempre servito e tu non hai mai ammazzato il vitello grasso, perché io facessi festa con gli amici, mentre per questo figlio, che ha sperperato tutti i tuoi beni, tu ora fai festa per lui.” Ma il Padre gli dice una cosa molto bella: “Tutto quello che è mio è anche tuo. Tu potevi in qualsiasi momento fare festa con i tuoi amici; perché non lo hai fatto?” Forse perché questo figlio pensava di doversi guadagnare l’amore del padre facendo l’obbediente, facendo tutto quello che il padre gli diceva. Ma il padre non cercava uno schiavo: lui li aveva già i servi in casa sua, non ne voleva uno in più, ma voleva un figlio. Questo figlio, invece, si comportava come se fosse uno dei servi.
Al termine della parabola rimane, allora, una domanda che il padre rivolge a questo figlio. “Tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!” La domanda è questa: Questo figlio sarà rientrato in casa oppure è rimasto fuori? La risposta, vedete, tocca non solo a questo figlio ma tocca anche a noi: siamo invitati ad entrare nella festa che Dio fa in casa sua tutte le volte che un peccatore si pente e chiede perdono! Allora possiamo domandarci se vogliamo partecipare a questa festa, andando anche noi a chiedere perdono, andando a confessarci. Settimana prossima inizia la Quaresima: non potrebbe essere il momento giusto per andare a confessarci? Ma potremmo anche chiederci se magari siamo anche noi un po’ arrabbiati con Dio, come questo figlio, quando vediamo la bontà di Dio. Ci fa un po’ arrabbiare la bontà di Dio, perché sembra che tutto si può fare, vedendo la bontà di Dio, tanto Dio è buono! Quando vediamo la bontà di Dio non siamo contenti ma ci arrabbiamo, allo stesso modo di questo figlio! Entrare, allora, vuol dire vedere nella bontà di Dio un motivo per essere contenti, non per arrabbiarci; un motivo per dire che, se Dio è buono, è meglio anche per noi! La bontà di Dio non smentisce mai la giustizia ma la completa! Non c’è vera giustizia se non ci si mette un po’ anche di bontà! La bontà di Dio, allora, ci rende felici o ci fa arrabbiare? Ecco perché questa domanda è rivolta anche a noi: “Vogliamo entrare nella casa del Padre per chiedere il perdono, per gioire della bontà di Dio, oppure vogliamo rimanere fuori?”

Don Marco Casale

Chiesa di S. Maria Maddalena – Bizzozero

Trascrizione non rivista dall’autore

 

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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