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Foto Raffaele Coppola: L'interno della chiesa di Santa Maria Maddalena

Approfondimento del Vangelo di domenica 15 gennaio a cura di don Marco Casale.


Di seguito la libera trascrizione dell'intervento di don Marco Casale in occasione del momento di riflessione proposto ogni venerdì sera alle ore 21.00, presso la chiesa di S. Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

Grazie al lavoro di alcuni volontari riproponiamo i contenuti dell'incontro di venerdì 13 gennaio 2017:

  

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI

II Domenica dopo l’Epifania​
​Gv 2, 1 - 11


In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta e centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Questo brano del Vangelo di Giovanni racconta l’episodio delle nozze di Cana e fa parte del Vangelo cosiddetto “dei segni,” cioè di quei segni che hanno avuto inizio con l’Epifania – Gesù che si manifesta al mondo attraverso la convocazione di tutti i popoli, rappresentati dai re Magi – cui fa seguito il Battesimo di Gesù nel Giordano – che esprime la solidarietà di Gesù con tutti i peccatori: Gesù si fa peccatore tra i peccatori, Lui che non ha peccato, per portare a tutti gli uomini la misericordia di Dio – ed infine il terzo segno, quello di Cana - in cui Gesù si manifesta come colui che porta a compimento l’antica alleanza in una nuova alleanza che è compimento della prima però con una novità, che è rappresentata dall’acqua che è trasformata in vino.
Il vino rappresenta l’amore, e la novità è rappresentata proprio da questa manifestazione di un amore assolutamente inaspettato, incondizionato! Tutti questi segni ci aiutano a capire chi è Gesù!
Quello che ci colpisce è la sua volontà di essere vicino ad ogni uomo, di non dimenticare nessuno; lo vediamo nell’Epifania – dove la manifestazione è per tutti i popoli; lo vediamo nel Battesimo – Gesù si fa peccatore per salvare tutti i peccatori: tutti sono raggiunti dall’annuncio dell’amore di Dio che si è reso visibile; e così anche nel segno di Cana noi vediamo questo! Vi è uno sposalizio ma questo miracolo di Gesù è un segno che coinvolge non solo gli sposi di questa festa di nozze che stava per perire e che Gesù fa rinascere, ma coinvolge ogni uomo, lo coinvolge in maniera che da moribondo, se non addirittura morto, diventa un uomo nuovo.
Cana è il segno dell’alleanza definitiva di Dio con il suo popolo Israele e trova, proprio nelle nozze tra due sposi, il modo più esemplare per manifestarsi.
Viene anche da domandarsi, con tutti i bisogni che c’erano al tempo di Gesù, ma anche oggi, con tutti i problemi che noi uomini ci troviamo ad affrontare, se Gesù doveva proprio occuparsi del vino di una festa?! Sembra un aspetto non essenziale, marginale. In realtà, invece, Gesù dà inizio ai segni, e Giovanni lo annota, con il primo dei segni - questi che vengono chiamati “segni” ma in realtà dovremmo chiamarli “simboli”, perché non sono solo segni al modo di un cartello stradale che indica di andare di là piuttosto che di qua, ma sono simboli nel senso che rimandano a qualcosa altro, di più profondo – in cui il vino è simbolo di un sangue versato, di una vita donata e quindi simbolo di amore: Gesù che dona la sua vita per noi! Così accade che la guarigione del cieco nato è simbolo di Gesù che è la luce del mondo; o la guarigione di Lazzaro che è simbolo di Gesù che è la vita del mondo.
Il primo di questi segni che Gesù compie – il segno di Cana - non è soltanto il primo cronologicamente ma è anche il primo qualitativamente, il primo per importanza. Come tutti i simboli anche questo prende qualche cosa che potrebbe apparire, a prima vista, come non essenziale, ma in realtà esprime qualcosa di essenziale, anzi di fondante: l’amore. Su questo amore Gesù vuole costruire il suo annuncio; su questo amore Gesù vuole radunare i discepoli; su questo amore Gesù vuole compiere tutta la sua opera. Tutto ciò che Gesù fa noi lo possiamo leggere attraverso questo amore! E tutto ciò che Gesù fa non può essere comprensibile se non a partire dal fatto che lui lo fa perché ci ama. Se noi potessimo comprendere questo avremmo compreso l’essenziale, avremmo la chiave di lettura di tutto quello che Gesù ha detto e di tutto quello che Gesù ha fatto, perché tutto è stato detto e fatto per amore, soltanto per amore! Verrebbe anche da domandarci perché Gesù abbia così fortemente sottolineato, attraverso questo segno - le anfore di pietra - che rappresentano le tavole della legge, e quindi l’antica alleanza, scritta su tavole di pietra, esteriori, quindi, non interne all’uomo, e che il popolo di Israele non ha saputo vivere, mettere in pratica, e Gesù dice di riempire proprio quelle anfore lì, di un’acqua che viene trasformata in vino e quindi è una legge non più scritta su tavole di pietra ma è una legge scritta nel cuore dell’uomo, è la legge dell’amore. Verrebbe allora da domandarci perché questa sottolineatura così forte, attraverso anche l’abbondanza di questo vino, circa seicento litri. Però la ragione la possiamo trovare nel fatto che Gesù sapeva, probabilmente, che doveva esagerare, proprio per non lasciare spazio a nessun equivoco, nel dire che l’amore è essenziale, che l’esagerazione d’amore è il tutto, che amare dà senso a tutto, perché sapeva che i suoi discepoli, invece, sarebbero stati tentati di ridurre il suo messaggio ad una applicazione della legge. Infatti questa è la tentazioni del credente di sempre, la tentazione del popolo di Israele, ma anche la tentazione nostra come chiesa: quella di ridurre il suo messaggio al fatto di mettere in pratica alcune leggi, alcuni comandamenti; cioè di tornare dal vino dell’amore alle anfore di pietra, dalla nuova alleanza tornare all’antica e di mettere al primo posto non l’amore della persona ma l’adempimento delle norme, dei precetti, delle regole. La grande tentazione del credente di ridurre la fede alla morale, soltanto alla morale! Soprattutto la grande tentazione di farlo dicendo che non lo stai facendo; la grande tentazione di farlo convinti che non lo si sta facendo! Forse nessuno sarebbe disposto a dire che lui ha ridotto la fede a norma, che ha ridotto la fede ad osservanza delle leggi e dei comandamenti: lo si fa senza accorgersene, senza piena consapevolezza! Questo è il grande inganno del tentatore. Gesù proprio per questo ha voluto esagerare!
Mettere in pratica questa parola di Gesù vuol dire fare, non solo a parole, quello che ha fatto Lui, come lo ha fatto Lui, nel segno dell’Epifania, nel segno del Battesimo, nel segno di Cana: incontrare la persona che si senta amata, accolta così com’è, mai giudicata! Si giudicano le azioni non le persone "non giudicate per non essere giudicati". Si può esprimere un giudizio sull’azione. Se questo è vero e se noi lo mettiamo in pratica noi possiamo incontrare tutti, possiamo incontrare le persone con amore, chiunque esse siano e qualunque cosa abbiano fatto! L’amore di Dio che mi ha amato così, incondizionatamente, così esageratamente, così immeritatamente rende me capace di amare imparando da lui, da andare incontro alle persone così come faceva Lui. Non è, allora, la nostra povera capacità di amare ma è l’aver fatto nostro il suo modo di amarci e quindi amare gli altri di questo stesso amore, il che significa che lascio che Lui allarghi il mio cuore e faccia crescere in me la mia capacità di amare, trasformandolo ad immagine del suo amore. Egli allarga i miei orizzonti, la cerchia delle persone che sono oggetto del mio amore, rende il mio amore più misericordioso, rende il mio amore più attento ai bisogni degli altri, meno centrato su me stesso, più generoso nel dare, senza fare troppi conti riguardo a quanto ho dato; rende il mio amore sempre più riflesso del Suo. I discepoli, a questo punto, credono in Lui, perché Lui ha manifestato la sua gloria, cioè il suo amore per noi. Ma vale la pena di notare che c’è chi non si accorge: il maestro di tavola non si accorge! Colui che dirigeva il banchetto non sapeva di dove venisse questo vino. Ecco, questa è la grande passione di Dio, la grande sofferenza di Dio: il non essere amato dall’uomo, dalla sua creatura ed il vedere l’uomo che non si accorge dell’amore, l’uomo che è chiuso all’amore, che non vede l’amore e non ne coglie il senso ed il valore. E’ l’amore non amato! Questa è la grande sofferenza di Dio: amare e vedere la propria creatura che non ama, che non ricambia l’amore, che non si fa coinvolgere dall’amore, che non vede l’amore! Ecco: questa passione di Dio dobbiamo un po’ farla nostra! Questa è la grande ferita del costato di Cristo, del cuore di Cristo: vedere l’uomo che non si apre all’amore! Dobbiamo farla nostra nel senso che non ci stanchiamo di mostrare questo amore a colui che è chiuso all’amore; quest’indifferenza del cuore dell’uomo all’amore che non impedisce a Dio di continuare ad amare anche colui che non accoglie il suo amore. L’amore, allora, matura anche così! Un amore che si purifica e che diventa capace di amare anche chi non ti ama, anche chi rifiuta l’amore; diventa capace di amare di un amore che arriva fino all’amore per i nemici. Questa strada è inaugurata dalle nozze di Cana! Nell’annotazione del maestro di tavola: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu, invece, hai tenuto da parte il vino buono finora” c’è espresso, anche, il concetto della perseveranza nell’amore. Questo ci interroga sempre molto, perché il cuore dell’uomo ama, ma la grande domanda è: Per quanto? Amo, ma domani? Sono amato, ma domani cosa sarà? Di fronte a questa domanda molti, presi da paura, non fanno il passo nella fiducia di un amore perseverante, per la vita, perchè fa paura! Fa paura a credere alla possibilità di un amore che dura nel tempo, per tutta la vita e non si fa questo passo! Oggi, di fronte a questa paura molti si arrestano, di fronte alla paura del “per sempre”. Gesù è colui che ha conservato il vino buono fino alla fine! Oggi è forse più difficile di un tempo credere nel “per sempre”, di fronte a tanti fallimenti di cammini di amore.
Allora noi dobbiamo accogliere questa sfida di un amore che è un amore per sempre, quello che Gesù ci offre; un amore che può conoscere fallimenti in cammini di amore, fallimenti in storie d’amore ma non il fallimento dell’amore, ma non la possibilità di credere nell’amore, non nella possibilità di ripartire nel cammino d’amore, non nella possibilità di guarire un amore ferito, non nella possibilità di dare speranza ad un amore spezzato, interrotto. Ogni sconfitta nel cammino d’amore non è una sconfitta dell’amore! E’ questo il grande messaggio della misericordia di Dio: l’amore vince, la misericordia ha l’ultima parola, il perdono di Dio non esclude nessuno! Ecco, questo è il messaggio d’amore del miracolo di Cana che chiede di essere anche noi commensali a questa mensa, come discepoli, per credere anche noi che l’amore è la vera forza di Dio, che vince e che salva il mondo.

Don Marco Casale

Chiesa di S. Maria Maddalena – Bizzozero

Trascrizione non rivista dall’autore 

 

  

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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