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Foto Raffaele Coppola: L'interno della chiesa di Santa Maria Maddalena

Approfondimento del Vangelo domenicale a cura di don Marco Casale.

 


Da quest'anno anche la parrocchia dei SS MM Evasio e Stefano di Bizzozero è direttamente destinataria di una proposta di preghiera e formazione formulata da don Marco Casale sin dal 2012, e che vede ogni venerdì sera alle ore 21.00, presso la chiesa di S. Maria Maddalena, un momento di meditazione sul Vangelo domenicale per riflettere e meglio prepararsi alla celebrazione liturgica.

 

Grazie al lavoro di alcuni volontari è possibile ora proporre i contenuti di tali incontri anche via web.

  

 

LA PAROLA IN MEZZO A NOI
VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI BATTISTA
Mt 10, 40 – 42


«40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Gesù oggi parla ripetutamente di accoglienza e quindi, prima di tutto, dobbiamo essere accoglienti e dare il benvenuto a chi viene stasera per la prima volta a questa nostra serata di ascolto della Parola.
Questo discorso sull'accoglienza, che giunge al termine del capitolo 10 del Vangelo di Matteo, che è il discorso così detto “missionario,” ci fa comprendere come l'accoglienza sia il “cuore” della missione.
Potremmo dire che senza accoglienza non c'è la missione, non c'è l'annuncio del Vangelo, non c'è la testimonianza.
Gesù identifica l'accoglienza di Lui con l'accoglienza di Dio, il Padre, che è Colui che lo ha mandato. C'è una identificazione perfetta che Gesù fa di se stesso con il Padre. D'altra parte Gesù ce lo ha detto più volte: “Io e il Padre siamo una cosa sola” ed ecco perché Gesù può dire: “chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato.” Però c'è un ulteriore passaggio: non solo chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato, cioè il Padre, ma anche chi accoglie voi accoglie me, quindi Gesù si identifica anche con gli apostoli, anche con coloro che Egli manda. Questa identificazione Gesù la ripete più volte nel Vangelo; pensate Matteo 25: “quando Signore ti abbiamo dato da mangiare, ti abbiamo dato da bere, ti abbiamo vestito?......Ogni volta che avete fatto questo a uno di questi miei piccoli, l'avete fatto a me”. Allora, dobbiamo capire bene chi sono questi piccoli di cui qui si parla: sono quelli di cui parla - sempre nel Vangelo di Matteo - nella prima beatitudine: “beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli.” I poveri in spirito sono i piccoli, secondo il Vangelo, coloro che sono poveri, umili, semplici, miti, come lo è Gesù, e quindi loro è il Regno di Dio, perché il loro stile di vita è come lo stile di vita di Gesù. Sono i suoi imitatori. Allora Gesù si identifica con questi piccoli: “chi accoglie uno di questi piccoli accoglie me!”
C'è qualche cosa di sconvolgente in questo, perché l'annunciatore del vangelo, l'apostolo, colui che Gesù manda, il missionario, sarà sempre inadeguato e, se non è fuori di testa, se non è pieno di orgoglio, se non è incapace di una valutazione oggettiva su sé stesso, dovrà riconoscere di essere inadeguato, e dovrà riconoscere che c'è sempre una sproporzione grande fra sé stesso e il Signore Gesù che lo ha mandato; eppure, Gesù si identifica con lui.
C’è un grande atto di comunione, ma anche di fiducia – potremmo dire di misericordia - da parte di Gesù nei confronti di colui che manda, del suo “missionario,” anche perché Egli promette una assistenza: Gesù manda ma accompagna, Gesù manda ma non lascia soli! Gesù, identificandosi con colui che manda, rimane sempre accanto a lui, in lui, con lui e quindi è una identificazione reale, anche nel senso che chi vede il missionario, l'apostolo ha la possibilità, vedendo lui, di guardare oltre, e quindi di vedere il volto di colui che lo ha amato: Gesù! In una parola la missione è questa: io incontrando un testimone, incontro il Signore, dentro e oltre la sua umanità e la fragilità della sua umanità. Ma questa è una capacità da acquisire. Cioè, occorre uno sguardo che è capace di non fermarsi sulla debolezza e sul peccato dell'apostolo, di colui che annuncia, ma che è capace di andare oltre, e di vedere nella sua vita la presenza di un qualcosa che è ben più grande di quello che quella persona è!
Anche questa è una esperienza di fede, ma ci fa bene, perché? Perché, se io riesco a cogliere che il Signore è presente nella vita di colui che Lui ha mandato e nelle sue piccolezze e oltre le sue fragilità, io vedo realmente la presenza del Signore e vuol dire che questo riguarda anche me. Dice l'apostolo Paolo: “Noi abbiamo un tesoro in vasi di creta” e quel vaso, che io sono, fatto con la creta, cioè fragile, pronto a spezzarsi, proprio dentro quel vaso il Signore deposita il suo tesoro di grazia, perché io lo custodisca e perché io lo testimoni e perché io lo annunci!
Notate: “chi accoglie un profeta perché è un profeta avrà la ricompensa del profeta, chi accoglie un giusto perché è un giusto avrà la ricompensa del giusto”. Ciò vuol dire che, accogliendo, io assumo la dignità di colui che accolgo! Questo è importante per chi vuole essere consapevole della missione che il Signore gli affida. La missione che il Signore ci affida non è di portare Dio a chi non ce l'ha, ma la missione che il Signore ci affida è quello di accogliere il fratello, è quello di accogliere questo uomo per permettergli di fare emergere dalla sua vita la presenza di quella grazia di cui egli ancora non è consapevole. La missione suscita, nella persona che incontro, quella grazia di Dio che quella persona ha già ricevuto, quella grazia di Dio che ci ha preceduto. Non si porta Dio dove Dio non c'è! Chi siamo noi per fare questo? E chi siamo noi per pensare che Dio non possa andare dove vuole ed entrare nel cuore di chi a Lui piace? Allora, la missione non ha il compito improbabile di convincere una persona della presenza di un Dio che ancora non ha ricevuto, ma al contrario di suscitare nella persona la gratitudine per una presenza di Dio che già abita nella sua vita e alla quale deve imparare a dare un nome!
Esperienza difficile, in particolare per l'uomo contemporaneo, che preferisce, il più delle volte, non attribuire a Dio quella esperienza di grazia, quella esperienza di amore, quella esperienza di bene che vive. L’uomo di oggi preferisce non attribuirglielo ma preferisce pensare che sia frutto solo suo!
Ma il credente è colui che, invece, si ostina a dare a quell'esperienza di amore che vede nel mondo, a quella esperienza di bene che vede nel mondo, il suo nome proprio: Dono, frutto del dono di Dio nella sua vita, nella nostra vita!
Notate però che, se per il profeta e per il giusto Gesù dice che l’accoglienza del profeta e del giusto ci fa acquistare la dignità stessa della persona che io accolgo - dignità che non io gli ho dato, ma Dio gli ha dato - diverso è, invece, per il discepolo. Infatti Gesù dice: “Chi avrà dato da bere anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli – e sappiamo chi sono – perché è un discepolo, in verità, vi dico, - e qui ci aspetteremmo, per parallelismo, che venga data la ricompensa del discepolo: e invece no - non perderà la sua ricompensa.” Perché qui Gesù dice qualcosa di diverso? Perché l'esperienza del discepolato è una esperienza personale! Solo tu puoi decidere di diventare discepolo, nessun altro! È affidata totalmente alla tua libertà! Solo tu puoi decidere di dare un nome a quella esperienza di amore, di fede, di grazia che vivi nella tua vita, ringraziandone Dio, riconoscendone il suo dono: solo tu lo puoi fare! Nessun altro. Solo tu puoi decidere di ascoltare quella chiamata che il Signore rivolge soltanto a te, unica e singolare, irripetibile! Nessuno mai prima di te ha vissuto il Vangelo nella forma in cui tu lo vivi e nessun altro mai lo farà dopo di te, in quella forma unica, singolare e irripetibile che è la tua esperienza di discepolo.
Il Signore non fa mai fotocopie. Il Signore non possiede fotocopiatrici! Ogni sua creatura è unica e irripetibile!
La ricompensa, allora, che tu ricevi se accogli un discepolo è la tua, non la sua: La possibilità di essere tu discepolo, accogliendo un discepolo! E la trasmissione della fede avviene sempre solo nell'incontro con il testimone! Non esiste altro modo.
Tutti noi siamo giunti e possiamo giungere alla fede solo per questa strada: nell'incontro con un credente che ci ha aperto la possibilità di riconoscere in lui e oltre lui e prima di lui Colui che lo ha fatto credente, che lo ha chiamato ad essere credente, testimone e missionario. Ma nell'incontro con questa persona, con l'esperienza di questo uomo, di questa donna credente, ho intuito, posso intuire la possibilità di credere anche io come lui, attraverso di lui, andando oltre lui, andando direttamente a Colui – Gesù - che chiama lui e chiama anche me, che ama lui e ama anche me! E tutto questo, questa trasmissione della fede, è possibile se io vivo l'accoglienza, se io mi sono sentito accolto dal Signore Gesù, se io vivo l'accoglienza al modo con cui Egli accoglie me, che è il modo di chi vede nell'altro non un nemico, non un fastidio, non uno sconosciuto, ma un fratello in umanità come me, che ha in sé stesso il dono di grazia del Signore che lo fa figlio. Io vedo in lui una potenzialità di bene, di amore, che me lo fa amare, anche quando lui non mi ama. Non dimentichiamo mai, quindi, l'invito di Gesù, ad amare anche i nemici!
Oggi questa è una frontiera per noi credenti, una grande sfida perché la tentazione di pensare che l'uomo sia malvagio è fortissima: pensare che l'uomo sia, per sua stessa natura, malvagio, cattivo, violento, è una tentazione fortissima! Invece oggi dire che l'uomo, per sua natura è creatura di Dio ed è figlio suo per “grazia,” è qualcosa di inedito e di sorprendente: una cosa da non credere! Tanto più oggi, quando noi vediamo le efferatezze di cui l'uomo è capace, la disumanità di cui l'uomo è capace. Il dubbio viene! Ma l'uomo è una creatura buona o una creatura malvagia? La risposta che ci viene dalla fede è chiara: l'uomo è fatto da Dio come opera buona, anzi molto buona, la più buona di tutte le creature! Questa è la testimonianza che noi oggi siamo chiamati a tener ferma.
Guardare l'uomo, vedere lui e, oltre lui, vedere Colui che lo ha fatto, che ha fatto di lui la sua creatura e un suo figlio e di cui ne è Padre. Allora, l'accoglienza diventa un imperativo, uno stile: lo stile del discepolo che riproduce lo stile del maestro. Il cristiano o è accogliente o non è! O il cristiano sa che cosa è l'accoglienza e vive l'accoglienza oppure non ha ancora compreso che cosa vuol dire essere cristiano! Il cristiano si interrogherà, allora, su quale è il modo di vivere l'accoglienza, su che cosa comporta vivere l'accoglienza, su come si può vivere intelligentemente l'accoglienza. Ma non metterà mai in discussione l'accoglienza! A meno di rinnegare se stesso, a meno di rinnegare il suo Dio, a meno di rinnegare la sua fede.
L'accoglienza vuol dire condivisione. Quando io accolgo qualcuno in casa metto a disposizione gli spazi della mia vita quotidiana. Accoglienza, come sentiremo nella prima lettura di domenica, è quella della vedova nei confronti di Elia, il profeta. Questa donna che accogliendo il profeta, la sua parola, e facendolo sedere alla sua tavola - c'era solo un po' di farina e un po' di olio per una razione per sé e per il proprio figlio – non rifiuta di condividere quel poco che ha anche con il profeta. Questa donna apre la sua casa all'accoglienza del profeta. Non è ricca, anzi, ha appena a sufficienza per vivere quella giornata, ma apre la sua casa al profeta. Secondo la parola che Javhè pronuncia attraverso il suo profeta per molti giorni, questa donna, il suo figlio ed Elia si sfamano e la farina non finisce, l'olio non finisce. L'accoglienza è il centro del messaggio di questo racconto del libro dei Re, un libro che ci narra del profeta Elia, ed il messaggio è molto chiaro: l'accoglienza moltiplica, ciò che è condiviso è moltiplicato; l'accoglienza moltiplica le risorse, l'accoglienza non impoverisce, l'accoglienza arricchisce. L'accoglienza non ti toglie, l'accoglienza ti dà. L'accoglienza non ti fa essere qualcosa di meno, ma qualcosa di più. L'accoglienza non ti toglie l'umanità, ma ti rende più uomo.
L'accoglienza e la condivisione sono due esperienze fondamentali dell'uomo e del credente. Ecco perché Gesù ce le raccomanda molto e possiamo, forse, ora comprendere meglio queste sue parole: “chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.
Don Marco Casale
Chiesa di S. Maria Maddalena – Varese
Trascrizione non rivista dall’autore

 

  

I numeri posti all'inizio di diverse frasi evangeliche indicano i numeri di paragrafo.

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